I miei ricordi mi conducono a quando avevo sei anni, papà e mamma spesso andavano a far visita a dei cari zii paterni in un piccolo paese della provincia di Vicenza. Era l’estate del ’63. Per me fu indimenticabile, avevo avuto il permesso di trascorrere alcuni giorni, ospite nella casa di campagna di zio Bepe e di zia Argia, con i loro figli Paolo e Tina. Lo zio Bepi aveva un bellissimo negozio di generi alimentari confinante con la casa, bastava aprire una porta interna del negozio per esser a casa. Trascorrevo le giornate correndo nei campi vicini, in compagnia di Chicco, un barboncino bianco che segnalava la sua presenza con un campanellino appeso al collare. Per la prima volta annusavo il piacere della libertà. Spesso mi intrufolavo nel negozio di zio Bepi cercando, in qualche modo, di rendermi utile e, anche se ero ancora un bambino, osservavo i suoi gesti, il modo di affettare i salumi, i formaggi, e questa era la mia curiosità primaria. I formaggi, in bella vista nel banco, avevano dei colori e profumi molto attraenti; osservavo zio come li tagliava secondo le esigenze del cliente, ma soprattutto come li incartava. L’incarto mi incuriosiva, la parte interna della carta che avvolgeva il formaggio ere lucida, liscia, oleata, mentre la parte superiore rimaneva rugosa. Non capivo, ma subito lo zio mi spiegava la differenza: la parte oleata serviva da conservante per quando si portava il formaggio nel frigorifero di casa. La carta aveva un nome, “Carta da Formaggio”. La carta serviva anche come nota per i ristoratori per fare i conti per le consumazioni dei loro clienti. L’avvento di questa carta oleata fu una novità, ma non sempre otteneva il risul
tato voluto. Dopo qualche giorno di frigo spesso il formaggio produceva delle muffe odiose, addirittura nella buccia del formaggio si formava una sorta di peluria, chiamata anche pelo di gatto, che non faceva di certo bene al formaggio. Senza parlare dei formaggi stagionati: le loro croste spigolose strappavano la carta provocando difetti nella conservazione casalinga. Insomma, conservare il formaggio in casa era un’operazione difficile o quasi impossibile. Un bel giorno però, come nelle favole, qualcuno si è inventato una macchina che avrebbe rivoluzionato il sistema: il sottovuoto! La conservazione degli alimenti era salva, bastava aspirare l’aria da un sacchetto contenente i cibi più delicati, come carne, salumi, riso, formaggi e chi più ne ha più ne metta. Frequentando il mondo caseario francese, spesso vedevo che questa tecnica non veniva presa in considerazione per un semplice motivo: i loro formaggi erano, e sono, di piccola taglia, ma soprattutto molto cremosi ed è quindi inconcepibile mettere sottovuoto, ad esempio, un brie, perché diventerebbe un disco schiacciato. Ma di questo ho avuto la riprova che a tutto ciò si può trovare una soluzione, e mi spiego. Qualche mese fa chiesi ad un mio grande amico, erede, con i suoi cugini, a Pontirolo Nuovo in provincia di Bergamo, del caseificio Giovanni Invernizzi, grandi produttori di Taleggio, di procurarmi un Taleggio molto maturo che io battezzo “al cucchiaio”. Puntualmente Franco mi consegna un Taleggio confezionato in una scatola di legno senza coperchio e confezionato in sottovuoto. Ero sorpreso perché il formaggio era ancora acerbo. Mi tranquillizzò: “Aspetta e vedrai tra 10 giorni, toglilo dal vuoto e poi mi saprai dire”. Dopo dieci giorni puntualmente lo liberai e mi si presentò un Taleggio maturo come lo volevo. Questo procedimento, controllato con una tecnica di sottovuoto leggera, aveva permesso al formaggio di maturare senza perdere le sue caratteristiche tipiche, quindi questo strumento è sicuramente adatto per la stagionatura di un particolare tipo di caci. Se il mio caro zio fosse stato presente all’apertura del Taleggio gli avrebbe preso un colpo! Altre importanti esperienze le ho avuto in piccoli caseifici artigiani dell’Alto Casertano. Manuel Lombardi, con il suo storico formaggio Conciato Romano, dopo aver affinato il suo cacio di pecora in anfore di terracotta per quasi due anni, con una concia fatta di olio extra, vino Casavecchia, timo serpillo e peperoncino, consegna le sue formine in sottovuoto perfettamente conservate. E, per ultimo, ma ce ne sarebbero mille di esempi, un amico giovane casaro dell’Alto Casertano del micro caseificio Teresina, Angelo, dopo aver fatto il suo caciocavallo, il Gerarchico, messo a stagionare in atmosfera anaerobica, interrompe la maturazione con un sottovuoto stretto. Il risultato? Sorprendente!