Parliamo di “cibi di strada”, che secondo una definizione della FAO del 1986, indica una “vasta gamma di alimenti e bevande pronti per essere consumati, che vengono venduti e talvolta anche preparati in luoghi pubblici, strade, mercatini o fiere”. Sempre dati della FAO, ma del 2011, sostengono che la metà dell’apporto calorico giornaliero planetario provenga dallo Street food, stimando inoltre un incremento in Italia intorno al 5% annuo. La situazione si presenta alquanto eterogenea e complessa. Non è pertanto possibile affrontare tutte le problematiche che possono compromettere la sicurezza igienica degli alimenti somministrati. Qui tentiamo di sintetizzare le possibili situazioni che condizionano la valutazione dei rischi in ambito sanitario:

1. Produzione e vendita in postazione fissa, permanente o a carattere stagionale, come un laboratorio di gelateria con annessa vendita, oppure un locale specializzato con produzione e vendita di pizza al taglio o kebab;

2. Produzione e vendita in postazione provvisoria, come nel caso delle casette di legno dei mercatini natalizi, oppure dei chioschi estivi in spiaggia;

3. Produzione e vendita in forma ambulante, su piazza attrezzata (mercati rionali) o in forma itinerante, spaziando dal banchetto improvvisato all’automezzo attrezzato;

La proposta gastronomica si presenta generalmente semplice o monotematica. Ciò dovrebbe aiutare sia la rintracciabilità che la gestione delle materie prime. È corretto e doveroso da parte nostra diffidare da offerte troppo ampie in presenza di una situazione strutturale precaria. La corretta conservazione delle merci deperibili implica la disponibilità di attrezzature frigorifere idonee. Esistono e quelle di ultima generazione sono anche molto efficienti. Bisogna però esserne consapevoli ed in grado di sostenere il necessario impegno economico. Molti sono ancora convinti che la scelta di quest’attività consenta di risparmiare sull’investimento economico. Non c’è spazio per l’improvvisazione. Il furgone “vintage” (gettonati, grazie anche all’esempio dello stand dell’Olanda nell’EXPO 2015, i primi Ford Transit, i classici Citroen tipo H, mentre l’Italia risponde con qualche vecchio Fiat 615 o con l’intramontabile APE…) richiede un investimento iniziale per il restauro della meccanica, della carrozzeria e dell’allestimento specifico. L’automezzo nuovo può raggiungere quotazioni di tutto rispetto, anche superiori ad una postazione fissa e permanente. Il rimorchio attrezzato richiede un mezzo di traino proporzionato (ideale un furgone isotermico con gruppo refrigerante). A seconda dell’alimento considerato, potrebbe essere necessario un laboratorio attrezzato per la preparazione di semilavorati. In tal caso ci vengono in aiuto anche tecnologie più “moderne” con l’utilizzo per esempio di sottovuoto a scopo di conservazione, ma anche di cottura. Non può assolutamente mancare un adeguato approvvigionamento di acqua potabile, sia per l’igiene del personale che per la pulizia delle attrezzature e dei piani di lavoro. Le contaminazioni crociate presentano probabilità più elevate di verificarsi in presenza di una postazione esposta alle correnti d’aria, alla polvere, agli insetti… in assenza di qualche misura di protezione o copertura. Tale forma di contaminazione non interessa soltanto i microrganismi, ma anche particelle chimiche (dai sanificanti agli allergeni). Ricordiamo però che le preparazioni finali (come cottura, porzionatura, assemblaggio) avvengono davanti al cliente che diventa, in tale modo, il principale controllore sulla corretta esecuzione delle operazioni e sulla loro sicurezza.