Apparte il riso – cereale la cui storia si differenzia totalmente da quella degli altri grani – esistono sei varietà di grani di cui l’uomo si è servito fin dai tempi primitivi: il miglio, l’avena, l’orzo e il frumento nel periodo più remoto; la segala a partire dal tardo periodo classico; il mais o granturco dalla scoperta dell’America in poi. Il più vecchio del gruppo è il miglio (Panicum miliaceum) che nutrì gli uomini ben prima dell’invenzione dell’aratro. Alla pianta non piacevano i climi freddi ma fedele e perseverante ha sempre seguito i popoli che l’amavano. I nomadi mongoli e kirghisi dell’Asia centrale sono ancor oggi amanti del miglio. È certo che venisse coltivato in Cina intorno al 2800 a.C. ma evidenze archeologiche lo indicano originario dell’arcipelago indiano dove rappresentava cibo comune (nella forma selvatica) già nel paleolitico. È altrettanto dimostrato che le popolazioni indiane lo coltivavano razionalmente già nel 7000 a.C. L’Avena sativa non aveva mai avuto una posizione troppo forte perché aveva una inclinazione atavica ad imitare la gramigna e a permettere che il vento, e non la mano dell’uomo, la seminasse. L’avena era difficile da controllare, re-inselvatichiva con facilità, tornava alla barba più dura, alla gluma più fiacca, al chicco più piccolo della gramigna e quando non veniva coltivata con impegno, si comportava come una erbaccia. La sua disgrazia fu anche quella d’essere un eccellente alimento per il bestiame: chi avrebbe desiderato cibarsi dello stesso nutrimento che serviva agli animali? I Greci di Omero che tostavano l’orzo e lo spargevano sulla carne bovina, denigravano gli Sciti che mangiavano l’avena come i loro cavalli. Più tardi il calmiere promulgato dall’imperatore Diocleziano registrava l’avena come nutrimento per gli animali e San Gemiamo sentenziava: “Avena bruta pascuntur animalia” (soltanto gli animali bruti si nutrono di avena). La disistima per l’avena durò anche nel Medio Evo. Nessun cavaliere o inglese avrebbe toccato il nutrimento che dava al suo cavallo e solo gli Irlandesi e gli Scozzesi, mai vissuti in territorio romano, la mangiavano. Quando gli Arii (provenienti della Mesopotamia) invasero il nord dell’India nel 2200 a.C. si portarono dietro il loro cereale: il djvas, cioè l’orzo (Panicum miliaceum), che già aveva una lunga storia nella Mezzaluna fertile. Dalla contesa dei diversi appetiti uscì vittorioso il djvas, grano da soldati e da uomini robusti. Un seme e un nome viaggiarono dal bacino dell’Indo fino al Nilo sebbene tra i due imperi – India ed Egitto – non vi fosse commercio di mercanti o di navigatori. Il Djvas degli Arii divenne djot per gli Egizi e nella terra dei faraoni l’orzo trovò condizioni estremamente favorevoli. Se ne coltivavano varietà differenti, in periodi differenti, in terre differenti. Ma nelle vallate percorse da fiumi l’orzo non assunse mai la posizione di monocoltura. La segale (Secale cereale) era coltivata 3000 anni fa nei campi di grano dell’Asia minore, dove cresceva inizialmente come erbaccia. Probabilmente alcune sementi si frammischiarono al grano e al momento della semina, il suolo inadatto al frumento consentì alla segale di prosperare e dal Mar Nero si diffuse attraverso l’Ucraina, fino al Danubio e al Reno. Tuttavia nei territori dell’Impero Romano il trionfo della segale non fu duraturo mentre a est conquistò ampi spazi fino alla Siberia. Il contadino siberiano rifiuta ancora oggi di credere che segale e grano siano due specie diverse e chiama la sua segala “frumento nero”. Al tempo della semina mescola il frumento nero e il frumento bianco (la mistura si chiama sweza) e li sparge insieme. Se l’annata è cruda e fredda il raccolto è di segala; se è dolce e tiepida, si raccoglie frumento. Poco male per il contadino siberiano, perché entrambi (segala e frumento) una volta ridotti in farina, miscelati con acqua e lasciati fermentare riescono a imprigionare nella pasta i gas prodotti dalla lievitazione; basta far cuocere l’impasto per rendere permanenti queste piccole sacche… ed il pane è comunque assicurato. Questo accade perché frumento e segale hanno proteine specifiche capaci di trattenere i gas, attitudine assente nel miglio, nell’avena, nell’orzo e nel granoturco. La storia del pane si costruisce dunque sul frumento e sulla segale. Della raccolta di frumento selvatico (Triticum mono-coccum) si hanno evidenze antiche di 12.000 anni. Da questo si originò il monococco coltivato, il primo frumento messo a coltura almeno 10.000 anni fa. Ma perché il frumento è divenuto il re dei cereali? Nell’Egitto predinastico si coltivava sia il frumento che l’orzo. Il frumento che cresceva sulle sponde del Nilo non era certo simile a quello che oggi copre i grandi campi dell’America, del Canada e dell’Ucraina russa. Era una qualità primitiva a 7 cromosomi che i Romani resero predominante nel mondo mediterraneo. Orzo e frumento nella terra dei Faraoni avrebbero potuto continuare a vivere pacificamente l’uno accanto all’altro se non fosse accaduto l’evento più importante della storia dei cereali: fu inventato il pane. L’orzo non era adatto alla panificazione perché non cuoceva abbastanza; poteva funzionare come nutrimento al tempo in cui gli uomini tostavano delle schiacciate sulla pietra incandescente ma appena si iniziò a far lievitare la farina di frumento, l’orzo perse gran parte della sua supremazia. E il frumento salì su quel trono dal quale non è più stato spodestato.