È pensando ad un finger food che esprimesse l’antica cultura gastronomica della Comunità Locale della Saccisica – il territorio racchiuso dai fiumi Brenta e Bacchiglione tra la Città di Padova e la Laguna Sud di Venezia – ma nel contempo facile da preparare e perfino “industrializzabile” che sono nati gli “gnocchi a cavallo”. Molto banalmente, si fa per dire, sono costituiti dal classico impasto a base di fiocchi di patata, cui si aggiungono carne equina affumicata e sfilacciata. Sono proponibili anche semplicemente lessati in abbondante acqua non salata (perché la componente salina è già nella carne equina) e conditi solo con un po’ di burro fuso. Qui invece, una volta cotti in acqua, li propongo prima asciugati in pangrattato, poi passati nell’uovo e quindi ancora nel pangrattato. Perciò fritti in abbondante olio di semi di girasole, di mais o, a chi piace un sapore più intenso, d’oliva e consumati caldi e croccanti, serviti in barchette di legno di pino sfogliato, abbinandoci un vino Raboso Corti Benedettine del Padovano DOC. Ma la mitologia, tutto sommato verosimile, collegabile a questa combine di sapori, è davvero affascinante ed ora brevemente ve la racconto. Ci chiediamo spesso perché la cultura della carne di cavallo sia così radicata tra la gente della Saccisica e la risposta più attendibile presuppone che, essendo un territorio di fiumi (Bacchiglione) e fiumiciattoli navigabili, burci ed altro naviglio abbisognasse di potenti traini animali. Buoi, ma principalmente grossi e robusti equini che, a fine carriera, si doveva trovare il modo di “valorizzare”: carni tutt’altro che tenere, buone per il subito da stracotti e, in assenza di frigoriferi, da seccare e/o affumicare per il dopo. Dico delle mie intenzioni all’amico Francesco Lucianetti, stimato artista ed autore di fumetti a tema storico, e mi racconta questa bella storia. Dunque: si dice che Padova sia stata fondata dall’eroe troiano Antenore in fuga dopo la sconfitta giungendovi, risalendo i fiumi e portando con sé oltre ai suoi uomini anche i loro quadrupedi. Ettore nell’Iliade era chiamato “il domatore di cavalli” e famosi erano quelli di Troia per la loro fisicità e intelligenza, vincitori di olimpiadi e quasi oggetto di venerazione, tant’è che gli Achei (gli antichi greci) li fregarono proprio col celeberrimo cavallo di legno. La stupidità dei vincitori, oltre alla città, volle distruggere anche questo mito, sopprimendo e bruciando su una gigantesca pira oltre 400 bestie. Nella Saccisica c’erano cavalli di una razza particolare, pare derivata da quelli portati da Antenore, ma ci pensarono i veneziani vittoriosi sui Carraresi (Guerra di Padova 1404-1405) e ripetere, per ottusa rivalsa, la carneficina. Quei valenti cavalli sono spariti, ma non il mito e la radicata memoria alimentare popolare.