L’invito colse la famiglia di sorpresa: nessuno aveva avuto sentore che il primo della numerosa schiera dei cugini, lato materno, sarebbe convolato a giuste nozze con una signorina dell’alta borghesia milanese. Le telefonate che seguirono l’arrivo dell’annuncio, fatte dalla madre alle sorelle lontane fino alla data delle nozze, da telefono pubblico a telefono pubblico perché, agli inizi degli anni sessanta, non erano in tanti ad avere l’apparecchio in casa, chiarirono che la futura sposa apparteneva ad una famiglia molto ricca, di grande classe, che vantava amicizie da rotocalco. In prossimità del matrimonio si venne a sapere che la cena nuziale sarebbe stata riservata a pochi intimi, mentre, per parenti e amici, sarebbe stato servito un rinfresco subito dopo la cerimonia, prevista per il primo pomeriggio. Celebrate le nozze, la famiglia, tirata a lustro, con gli abiti ravvivati per tempo da una sarta dalle mani d’oro si mischiò con il resto degli invitati per ammirare il nido della coppia e fare un po’ di festa. La meraviglia era grande perché il lusso accompagnato dal buon gusto era percepibile dappertutto. La fresca sposina poi era un esserino tutto pepe, frizzante, allegra, sorrisi e cinguettii sparsi a destra e a manca, che saltabeccava da un invitato all’altro per salutare, presentarsi, distribuire baci, tirandosi dietro lo sposo che rideva divertito. A un certo punto nella grande sala si presentò un cameriere che spingeva un carrello carico di bottiglie, al che la fresca moglie milanese chiese con la sua voce acuta: – Qualcuno vuole un gin fizz? Sguardi perplessi s’incrociarono. Nell’imbarazzato silenzio, che non turbò per nulla la padrona di casa, lei chiese allora con la massima naturalezza: – Allora, gradite un succo di papaya? Se volete c’è anche del mango. La famiglia se la squagliò presto. Non ebbero più occasione di rivedere la signora Gin Frizz.
Gin Frizz
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