Non riesce ad ogni tipo di frutta esotica il “fenomeno kiwi”, che si è perfettamente adattato al nostro clima e territorio, consentendo all’Italia di primeggiare come produttore mondiale. Dobbiamo pertanto accettare che questa frutta non sia proprio a “km zero” e provenga da ogni parte del mondo, anche da stati in cui le condizioni ambientali sono precarie oppure i produttori e gli amministratori locali ignoranti o privi di scrupoli. Esiste sicuramente un rischio microbiologico (agenti batterici o virus sulla superficie) dovuto alla flora microbica del suolo o dell’acqua utilizzata per la coltivazione. Ma è sicuramente più rilevante il rischio chimico legato all’utilizzo di fitofarmaci, vietati in Italia o in Europa, ma tollerati in paesi come gli USA o l’Australia, … e, purtroppo, abbondantemente sfruttati in paesi economicamente più fragili o deboli. Al problema dei residui nella frutta si associano anche dei problemi di tipo ambientale, a causa dell’inquinamento del suolo, dell’aria e delle riserve d’acqua, o a causa del disboscamento di ampi territori da destinare a monocolture. L’olio di palma, aldilà del possibile/probabile impatto sulla salute umana, crea notevoli problemi a causa della deforestazione. Ma quanti sanno che l’avocado, sempre più richiesto in Italia e nel mondo, sta creando gli stessi problemi di perdita di biodiversità nei paesi di origine? Dobbiamo anche considerare gli accorgimenti da adottare per rallentare la maturazione, condizione necessaria per consentire lunghi viaggi. Nella fattispecie, la possibilità di utilizzare additivi a protezione della superficie, su buccia non edibile, è normata a livello comunitario dal Reg CE 1333/2008 e dal Reg UE 1147/2012 (“Il trattamento protegge la frutta dalla disidratazione e dall’ossidazione ed esercita un effetto inibitorio sulla crescita di muffe e di alcuni microrganismi. Esiste una necessità tecnologica per tale uso, in particolare sulla frutta che viene importata principalmente dai paesi caratterizzati da un clima tropicale. È inoltre necessario proteggere questi tipi di frutta durante i trasporti di lunga durata”), ma questo sarebbe il male minore in quanto c’è anche chi utilizza l’irradiazione per rallentare la maturazione! Certo il consumatore starebbe più tranquillo se la frutta avesse una specie di “passaporto sanitario”. Potremmo considerare tale una certificazione di prodotto GLOBAL GAP (dove GAP sta per Good Agricultural Practice). Tale protocollo definisce le buone pratiche agricole relative agli elementi essenziali per lo sviluppo delle migliori tecniche applicabili ad aziende agricole, coltivazioni e prodotti della terra, ma anche allevamenti. Il protocollo è stato creato dall’EUREP (Euro-Retailer Produce Working Group), che unisce alcune tra le più importanti catene commerciali europee, al fine di rispondere alle crescenti esigenze di sicurezza alimentare e di rispetto dell’ambiente. Il protocollo prevede la gestione di requisiti relativi a:

  • Aspetti ambientali (storia e gestione dei siti, gestione del terreno e dei rifiuti)
  • Prodotto (fitofarmaci impiegati, tecniche di irrigazione, protezione delle colture, modalità di raccolta e trattamenti post raccolta)
  • Salute degli animali
  • Salute e sicurezza dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro
  • Elementi relativi alla gestione aziendale

Una volta ancora è la GDO a dettare le regole. Ben vengano se queste servono a tutelare la salute del consumatore!