La temperatura ideale per il trasporto di formaggi freschi – ossia quelli non stagionati, né i latticini – oltre a permetterne la conservazione, deve assicurare il mantenimento delle proprietà organolettiche e quindi non può essere superiore al punto critico che ne determina la perdita, ma nemmeno troppo inferiore (a livello cioè di surgelamento) perché in entrambi i casi il prodotto risulterebbe immangiabile. Il problema, l’industria casearia insegna, si acuisce nella fase di trasferimento del prodotto in cui esso è sottoposto a tutti gli stress tipici della movimentazione – trasbordi, soste, immagazzinamento, ecc. che, comunque, comportano un’interruzione del flusso logistico, aggravato poi dal fatto che spesso in queste occasioni – normali per l’internazionalizzazione, ma rischiose per la conservazione – risulta più difficile il mantenimento della catena del fresco che, oltre ai citati problemi qualitativi e, di riflesso, commerciali, ne scatenano altri di natura assicurativa e/o logistica (vettori, spedizionieri, depositari). Venendo all’aspetto tecnico del trasferimento, va detto che il vettore, per legge, deve assolvere l’incarico di (…) trasferire persone o cose da un luogo a un altro” (1678 C.C.) garantendo il duplice risultato del trasporto e della custodia, infatti: “L’obbligazione di consegnare (…) include quello di custodirla fino alla consegna” (1177 C.C.), ove per custodia si intende ovviamente la conservazione quando i beni sono, per loro natura, soggetti a deterioramento e deperimento fisico, organico, ponderale, organolettico, ecc.. Per i prodotti caseari diversi dai latticini (mozzarelle, burrate, ricotta, panna, ecc.) – in cui la temperatura di trasporto è fissata dalla legge – e quindi per formaggi sia pasta molle che dura, è l’azienda produttrice che definisce le temperature in regime di autocontrollo naturalmente chiedendone il rispetto agli operatori del trasporto e della logistica in tutte le fasi della filiera. Parlando di trasporto, va detto, allora, che l’accertata inadempienza da parte del vettore, viene trattata come mancato risultato, di cui egli risponde, tranne provare la sua estraneità: “il vettore è responsabile della perdita e delle avarie delle cose consegnategli per il trasporto dal momento in cui le riceve a quello in cui le riconsegna (…) se non prova che la perdita o l’avaria è derivata da caso fortuito, dalla natura o vizi delle cose stesse o del loro imballaggio o da fatto del mittente o da quello del destinatario” (1693 C.C.). Al di fuori di queste cause liberatorie, il vettore risponde dell’eventuale pregiudizio da mancato freddo. Un aiuto assicurativo, sia per gli operatori della filiera logistica che per i proprietari della merce, viene da un’ottima polizza inglese – reperibile sul mercato dei prodotti assicurativi in mano agli Agenti Lloyd’s – dal titolo “Institute Frozen Food Clauses (A)” in cui sono coperti i rischi di perdite o danni alle merci assicurate causati espressamente da variazione di temperatura (per interruzione dell’impianto di refrigerazione per un periodo non inferiore a 24 ore).

di Maurizio Favaro