Puccini e il rapporto con i fagioli: il compositore toscano, oltre ad essere straordinario musicista, era un gourmet goloso e ricercato e grande appassionato cacciatore in palude; artista ormai  Famoso e acclamato si faceva spesso preparare dalla cuoca il piatto che amava fin da ragazzino, i fagioli come glieli faceva sua madre, “alla lucchese”. Fra le pietanze che più adorava, soprattutto negli anni del suo bucolico rifugio a Torre del Lago, c’erano la minestra di farro, la soppressata, il guazzetto di calamari e il germano reale con contorno di zucchine in umido. Non smise questo intenso rapporto con i fagioli che regalò anche al suo editore Giulio Ricordi nel Natale del 1895, assieme alla ricetta, scritta di suo pugno, in cui sono conditi con foglie di salvia, teste d’aglio, sale, pepe e l’immancabile olio toscano. Nel periodo della stesura dell’opera “Suor Angelica”, si recava incessantemente al Convento di Vicopelago (Lucca) a trovare la sorella Iginia, suora agostiniana che aveva preso il nome di Giulia Enrichetta per far sentire alle monache la musica che stava creando ed averne un parere (“più piangevano e più era soddisfatto”), ma era anche l’occasione per fermarsi a pranzo e gustare nel loro refettorio i fagioli cotti al fiasco. Una volta celebre e ricco si poté permettere una cuoca fissa nella sua villa . Si chiamava Isola Nencetti Vallini. Appassionato buongustaio della cucina toscana dunque, Giacomo amava i salamini lucchesi serviti con i fagioli all’olio. Se contrariamente alla tradizione locale preferiva i grissini al pane, era invece  Perfettamente in sintonia con i piatti casalinghi quando chiedeva la zuppa di cavolo. Il dolce preferito era il cosiddetto “latte alla portoghese” che veniva preparato da Isola con uova, zucchero e  Mandorle tritate, sul fondo dello zucchero caramellato. Quando viaggiava, il maestro assaggiava volentieri i piatti locali, sia in Italia sia all’estero e si narra che la sua golosità scatenò il tumore latente che aveva in gola. Durante una vacanza in Germania infatti si fece servire un’oca arrosto e gustandola con grande voracità si conficcò un piccolo osso in gola. Quella ferita gli fu fatale e il dolore che ne seguì lo accompagnò fino alla morte avvenuta in una clinica di Bruxelles dove l’avevano operato tentando di salvargli la vita, nel 1924.