Il segretario federale provinciale del Partito Nazionale Fascista aveva accettato l’invito. E la famiglia del podestà era entrata in agitazione da una settimana: pensare a chi mandare l’invito per la cena, pensare al menu, pensare al vestito adatto. Insomma, il piccolo paese della campagna veneta era stato, direttamente o indirettamente coinvolto nell’avvenimento perché se ne era fatto un gran parlare e perché dal macellaio, dal droghiere, dalla sarta, dal calzolaio e tanti altri era stato richiesto uno sforzo speciale e una priorità assoluta. Malgrado i patemi d’animo e le notti insonni, il gran giorno era arrivato e il ricevimento stava andando alla grande. Il federale era arrivato con mezz’ora di ritardo, non come i treni che nel ventennio fascista erano puntualissimi, ma si voleva forse fare gli schizzinosi per qualche minuto quando era una grazia che il federale fosse arrivato in quello sputo di paese lungo il Brenta. Chissà quando mai ci sarebbe tornato da loro: mai più! La casa del Podestà era scintillante, le signore, in grande spolvero, se lo mangiavano con gli occhi il gerarca che sfoggiava la sua divisa grigia, piena di decori, con i regolari pantaloni alla cavallerizza e il girocollo nero. Gli stivali poi erano lucidissimi risuonavano come colpi di cannone nel pavimento alla veneziana del salotto principale. Il federale non era accompagnato dalla coniuge; sovrastava con la sua altezza e possanza tutti i presenti. Era talmente nella parte che copulava con le donne presenti solo guardandole fisse. E lui, lo sapeva, che ci sarebbero state e che i mariti avrebbero chiuso un occhio. Potenza della divisa e del grado. Ma il gerarca era anche un grande affabulatore. Discorreva con facondia, ironia, classe e ciò non poteva che inculcare nei presenti il concetto che il fascismo era il migliore sistema di vivere possibile. A un certo punto, sorseggiando un profumatissimo vino bianco, esordì con un aneddoto:
– Sapete perché Attila, il flagello di Dio, ritardò la sua avanzata verso le vostre terre, permettendo ai vostri antenati di fuggire?
Gli astanti erano in trepida attesa e il federale godeva della sua gloria.
– Lo sapete? No? Allora ve lo dico io: si fermò tra il Tagliamento e il Piave perché scoprì la bontà dei fagioli in salsa, come li sapete fare voi e arrestò l’avanzata per una settimana.
Tutti furono sbalorditi: il federale oltre che bello era anche colto.
– Mi vogliate scusare, camerata federale provinciale – fece il maestro elementare, usando il voi del galateo fascista, che era stato invitato alla festa solo perché la moglie era una sfegatata di Mussolini e aveva tanto insistito con la moglie del federale – ma non è possibile!
Il gerarca si girò, incredulo e stupito di tanta impertinenza. E lo schernì, in tono di sfida, con un sorrisetto, cercando consenso attorno:
– Come fate a dirlo?
– Perché i fagioli sono stati importati in Europa dopo la scoperta dell’America.
Gelo. Il podestà fece togliere due coperti e avvertì il maestro che lui e la moglie non erano graditi. Tornarono a casa a piedi, la moglie piangente e maledicendo il marito incapace di stare zitto.
L’indomani mattina, il provveditore informò il maestro che, con decorrenza immediata, era trasferito a Campagna Lupia, Polesine desolato. Era il primo di settembre del mille novecento trenta nove. In quello stesso giorno Hitler invadeva la Polonia.