I cereali, a causa del loro alto contenuto di zuccheri fermentescibili, furono, sin dall’antichità, materia prima per fermentazione in alcolico: numerose fonti attestano presso egizi, romani ed etruschi la coltura di cereali e uva per la produzione di birra e vino. Le conoscenze legate ai processi di distillazione di carboidrati in alcol vennero importate in Europa attorno al X° secolo, utilizzate prima solo a scopo medico e successivamente applicate alla produzione di bevande (XIV sec.). Sui territori, le colture cerealicole si erano diversificate in base alla fascia climatica: nelle regioni più temperate il grano, in Europa continentale il frumento, l’orzo e la segale. In Gran Bretagna orzo e segale. In Nord America segale e mais. In oriente dominava il riso. E da ciascuna coltura ne derivarono i grandi distillati: dal grano la vodka, dall’orzo lo scotch e l’irish whisky, da frumento ed orzo il gin, dal mais il bourbon e dalla segale il rye whisky e, anche se tecnicamente non definibile distillato, dal riso deriva il sakè. Oggi, con i processi di globalizzazione, si è assistito ad un fenomeno di distaccamento della produzione di distillati dai territori di coltivazione delle materie prime, accompagnato dal diffondersi di nuove distillerie anche in paesi non storicamente produttori. La valorizzazione dei lavorati è quindi sempre più legata a elementi qualitativi del processo di produzione, caratterizzazione e finitura degli stessi, che consentono la realizzazione di spiriti qualitativamente paragonabili a quelli prodotti nei luoghi di origine.