Nella mia regione, le Marche, il merluzzo (o nasello) è molto apprezzato. Il merluzzo viene definito baccalà, se conservato sotto sale, o stoccafisso se essiccato dopo essere stato decapitato, aperto e pulito. Operazioni, queste, che si ripetono ormai da secoli. Può essere cucinato in umido con aglio, olio, prezzemolo e a volte con il pomodoro; per questa preparazione consiglio un Vermentino sardo o ligure; può essere anche fritto o al cartoccio con aggiunta di capperi, e allora è piacevole gustarlo con un Greco di Tufo o un Passerina.

Il baccalà, dal sapore ovviamente molto salmastro, può essere abbinato a dei vini morbidi ad esempio un rosato con buon tenore di alcol, come il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo. Se lo prepariamo con il pomodoro e con le patate, il vino deve essere sì morbido e di gran frutto, ma anche molto fresco, in modo da attenuare le sensazioni grasse proprie del pesce così cucinato. Mantecato a scaglie è ottimo con il Verdicchio dei Castelli di Jesi, l’Arneis, il Pinot bianco o il Soave. Nelle Marche lo si cucina anche fritto: prima viene tritato e bagnato nella pastella, preparata con latte e farina, poi lo si immerge con un cucchiaio nell’olio bollente. Ottimo l’abbinamento con un Metodo Classico di Verdicchio, un Colli Orientali del Friuli Sauvignon o un Riviera Ligure di Ponente Vermentino.

Lo stoccafisso, sempre molto saporito ma più delicato poiché non trattato con il sale, viene dapprima immerso per almeno tre giorni in acqua, dopodiché lo si può cucinare in mille modi. Il più noto è forse quello “alla vicentina”, piatto in cui il pesce, pur essendo chiamato baccalà, in realtà è stoccafisso cotto nel latte e insaporito con acciughe. Questa piacevole preparazione è caratterizzata da percettibile grassezza, succulenza, tendenza dolce e da aromaticità e sapidità abbastanza percettibili. Il vino sarà secco, decisamente fresco di acidità, caldo, morbido e con un bouquet ricco di aromi di fiori e frutta: ottimi quindi la Ribolla del Collio, il Soave Classico magari di Pieropan, il Roero Arneis o i più classici Tocai (Tai) dei colli Berici o Breganze.

Un’altra ricetta classica a base di stoccafisso è quella “all’Anconitana”: mettiamo in una grossa pentola uno strato di stoccafisso tagliato a tocchi con una griglia sul fondo, per evitare che attacchi (la griglia ha ormai sostituito le canne intrecciate che si adoperavano in passato, anche se queste sono ancora usate, con esiti interessanti, da sempre più rari cultori della tradizione); versiamo l’olio, un trito di carote, prezzemolo, rosmarino e aglio, sale e pepe, i pomodori e un po’ di burro; adagiamo un altro strato di stoccafisso e lo condiamo come precedentemente fatto; quando abbiamo terminato la preparazione, copriamo l’ultimo strato con patate tagliate a tocchetti e bagnate con olio e latte. L’abbinamento è decisamente ottimale con un Verdicchio come il Podium di Garofoli (vino di grande struttura e deciso tenore alcolico, morbido, minerale e dotato di un gran bouquet) oppure con un Verdicchio di Matelica come il Cambrugiano, meglio se di tre/quattro anni (morbido, con note minerali più spiccate e dal tenore alcolico importante); oltre a questi, abbinerei anche vini di struttura come i siciliani Cataratto, Inzolia, Grillo o come degli ottimi Riesling Alsaziano o della Mosella tipici per la loro morbidezza e ricchi di residui zuccherini.

Se il criterio dell’abbinamento vuole invece privilegiare l’approccio territoriale/tradizionale, va considerato che nella zona di Ancona non sono presenti vini bianchi; pertanto, l’accostamento ideale è con un

Rosso Conero d’annata o un Rosato di Montepulciano.

Un classico della cucina marchigiana sono i ciavattoni con lo “stocco” (abbreviazione locale per stoccafisso): rosolare scalogno o cipolla, olio, pomodorini, olive e stoccafisso; far cuocere per circa sei/sette minuti, infine unire, a proprio gusto, del prezzemolo. Il piatto è caratterizzato da una decisa ma al contempo delicata sensazione di tendenza dolce, da succulenza, sapidità e aromaticità. L’abbinamento sarà con un vino bianco secco, caldo di alcol, fresco di acidità, di buona struttura e dotato di un buon bouquet, come Pinot Trentino, Etna, Pigato o Lugana.

Baccalà  cotto sotto la cenere con crostatina con burro affumicato e lonzino di fico:

Ingredienti per 4 persone: Baccalà Gadus morhua g 400; sale, olio, pepe q.b.; rosmarino, alloro, aglio q.b.; pasta frolla g 100; panna g 250; lonzino di fico gfr. 200; carta paglia nn. 4 fogli.

Baccalà – Dopo aver dissalato il baccalà, tenendolo a bagno in acqua corrente per almeno 24 ore, asciugarlo con un panno da cucina. Dividerlo in 4 porzioni da 100 g ognuna da condire con sale, pepe, olio, rosmarino e becca d’aglio ed avvolgere, singolarmente, in un foglio di carta paglia. Ogni porzione verrà messa a cuocere sotto la cenere per 20/30 minuti.

Burro affumicato – Bruciando dei piccoli legni affumicare la panna. Farla riposare per almeno 4 ore (dipende dall’intensità di affumicatura che si vuole ottenere). Metterla in uno sbattitore per ricavarne, montandola adeguatamen¬te, il burro che verrà utilizzato per farcire le crostatine.

Crostatina – Con la pasta frolla realizzare 4 crostatine negli appositi stampini. Cuocere a 180° per 3/3 minuti. Farcire le crostate col burro affumicato e adagiarvi una pallina di lonzino di fico realizzata con l’apposito spallinatore.

Luigino Bruni