Tubera radis, elixass, sale aspergis, et surculo infiges … (raschia i tuberi, scottali, cospargili di sale e infilzali…).
È l’inizio di una delle ricette per il tartufo che Apicio, conterraneo dei maggiori crapuloni della Roma imperiale, dedica al tartufo. E ne propone altre quattro di ricette, nel suo famoso e unico libretto, più un paio di salse piuttosto laboriose. Una lunga storia quella del tartufo, prezioso tubero che deve la sua fortuna culinaria oltre che al suo inconfondibile sapore anche al fiuto di certi maiali (provvisti di museruola visto che ne sono golosi) e più recentemente dei cani, appositamente addestrati, che sanno scovarlo nei boschi dove cresce spontaneo in simbiosi con molte specie arboree, quercia,  soprattutto, ma anche pioppo, betulla carpino, pino ecc. Tralasciando le molte varietà meno diffuse e apprezzate (in Toscana, in Molise in Istria e Croazia) ricordiamo il pregiato tartufo bianco di Alba e Asti, oggetto da aste attesissime e quello nero, lo scorzone, tanto caro ai francesi che hanno cominciato a riprodurlo nel primo Ottocento, ma diffuso anche il Spagna e nei boschi della ex Jugoslavia, senza andare troppo lontani. Erano già allora costosissimi nella Francia dei gourmet che pochi potevano permetterselo, come aveva osservato Brillat-Savarin nel 1825. Sulle origini di questo tubero, non si sa molto. Lasciando perdere i soliti sapientoni dell’antichità dall’immancabile Apicio a qualche storico goloso, si sa che i romani pasticciavano con il terfez, fungo venuto dalla Libia, dall’aspetto ma non dal sapore simile al tartufo. Bisogna arrivare al Medioevo quando al Platina, cuoco dei Papi, che tra l’altro rilevò la capacità delle scrofe di Notza nello scovare i tartufi e poi molto più recentemente con la diffusione in Europa della cucina francese che lo aveva adottato. In questo numero, visto che la tradizione gastronomica anche delle zone “vocate”, delega a poche accurate elaborazioni la valorizzazione del tartufo, di quello bianco soprattutto, sfidiamo i nostri chef, le loro capacità professionali, la conoscenza del prodotto e soprattutto e la loro fantasia per correggere certe limitazioni che pure appartengono alla storia della nostra gastronomia.