Annibale Carracci, pittore bolognese, alla fine del Cinquecento dipinge una scena ambientata in una macelleria. Pregno di influssi fiamminghi propone un tema naturalistico, una bottega in cui i macellai sono indaffarati a preparare il cibo da vendere, un ragazzo lo dispone sul banco, uno sta appendendo un agnello al gancio, un altro sta tagliando la testa ad un capretto, sulla sinistra il macellaio pesa la merce mentre il cliente cerca il denaro per pagare. Riferimenti al cibo nei quadri si trovano in ogni periodo storico, dalle singole decorazioni, ai mosaici scene di banchetti in un loop infinito; ma cosa mangiavano gli artisti? Non si trovano facilmente notizie sui loro usi e costumi gastronomici prima del XIX secolo, i biografi a loro contemporanei non erano interessati a tramandare questo tipo di informazione. Quello che sappiamo deriva da note o testi scritti dagli artisti stessi. L’idea del creativo squattrinato e in cerca di sponsor è piuttosto vera ma nel Cinquecento, ad esempio, ci sono testimonianze grafiche molto interessanti. Si dice che Leonardo da Vinci fosse vegetariano: in realtà non ci sono evidenze documentarie che possano avvalorare questa tesi. Disseminate nei vari codici sono state rinvenute dagli studiosi ben diciassette liste della spesa in cui compaiono anche uova e carne. Non si sa se gli ingredienti fossero per lui. Considerato che a Milano e durante il suo soggiorno in Francia allestiva sontuosi banchetti con effetti speciali era abituato a stilare liste di cibi. Michelangelo Buonarroti era famoso per la grandissima capacità di guadagnare denaro e l’altrettanta attenzione a non spenderlo. Si pensa che il patrimonio ereditato dal nipote alla sua morte ammontasse a quindici milioni di euro attuali. L’artista era morigerato nel vivere come nel mangiare; tuttavia, si concedeva delle passioni: per il formaggio che spesso si faceva inviare dall’Umbria dove aveva dei terreni, e per il vino che accompagnava i suoi pasti dalla colazione alla cena. Soleva mangiare leggero a pranzo e cenare in trattoria. Uno scrittore anonimo a lui contemporaneo scrive che durante i lavori della volta della cappella Sistina pranzasse sulle impalcature con un panino al formaggio e poi continuava a lavorare. Ci è stato tramandato un foglio scritto di suo pugno con un elenco della spesa per il suo inserviente corredato da disegnini esplicativi. Si pensa per aiutare il servo probabilmente analfabeta, oppure si tratta di un divertimento dell’artista. In molti citano Pontormo, pittore fiorentino vissuto a cavallo tra Quattro e Cinquecento che mentre lavora all’ affresco della Basilica di San Lorenzo a Firenze compila un diario in cui annota i progressi del suo lavoro e anche ciò che mangia. Ne emerge un animo leggermente ipocondriaco che associa malesseri come conseguenze dell’assunzione del cibo ma rimane un documento estremamente unico e di interesse storico sul cibo e abitudini dell’epoca. Infine, come non citare Caravaggio, che nella “Cena in Emmaus” raffigura un pollo arrosto ben rosolato. Neanche di questo artista si conoscono le abitudini alimentari, sicuramente annichilite da quelle “sociali” e dalle sue intemperanze caratteriali. Però si tramanda un episodio, che porterebbe essere vero o no, in cui litigò furiosamente con l’oste di una trattoria perché non aveva risposto alla sua richiesta di identificare quale carciofo nel suo piatto era fritto e quale era stato cucinato con il burro!