La “Canestra di frutta”, così si chiama la celebre natura morta del Caravaggio. Michelangelo Merisi, prodigio della pittura, è celebre per la vita dissoluta, violenta e avvolta nella leggenda. Figlio di un architetto lombardo, lavora fin da giovanissimo in molte botteghe di artisti locali: si specializza in ritratti di frutta e fiori. Omicidio, querele, un carattere ingestibile, talento per i guai, hanno popolato la fantasia di molti scrittori, a cui si aggiunge l’assoluta originalità dei soggetti che perdono l’aura idealizzata cinquecentesca e si immergono in raffigurazioni di sofferenza reale, un certo gusto per particolari cruenti e dettagli che emergono dalle ombre. Un cesto è appoggiato su un ripiano generico, può essere una mensola, un vassoio o un tavolo, ma non interessa; non c’è sfondo, né una quinta prospettica, dietro potrebbe esserci un telo, un muro, ma anche questo è un dettaglio che Michelangelo lascia indefinito. La frutta diventa per la prima volta protagonista di un’opera pittorica, non è un dettaglio per decorare una scena, né un gioco di “svago decorativo” senza pretese di richiamo artistico. Non solo, il substrato sociale infimo, fatto di miserie e povertà che si adatta bene allo stile di vita dell’artista, che infatti frequenta assiduamente, diventa una scusa per l’invenzione di nuovi soggetti in presa diretta, dal vivo. Un realismo ante litteram. La frutta non è una finzione, un virtuosismo di un artista annoiato, non è bella, matura, lucida, non ha artifici: al centro campeggia una mela con il segno del passaggio di un bruco, c’è un limone, dell’uva un po’ troppo matura, leggermente impolverata, dei fichi. La composizione è equilibrata dalle foglie: la frutta è posizionata nel cesto insieme alle proprie foglie e a qualche pezzo di ramo. Sono bucate, rovinate dalle intemperie, alcune leggermente rinsecchite, arrotolate su se stesse. Non viene “inventato” il vero, ma dipinto così com’è. I colori sono caldi, non troppo accesi, verosimili, quasi fosse una fotografia, emergono dalle zone d’ombra che ad una visione più attenta del quadro sono numerose. Non mi è mai piaciuta la definizione natura morta: il cesto è un normale e diffuso canestro in vimini con la frutta che chiunque, dal Cinquecento in poi, avrebbe potuto avere in casa, o nell’atelier di un artista. Potrebbe anche rappresentare la caducità della vita come qualcuno ha proposto, ma significa soprattutto un passo di un genio che esce dai vincoli di una rappresentazione figurativa “colta” del periodo in cui esercita per elevare un soggetto, per quanto povero, ma reale, ad arte figurativa.