La cucina classica distingue minestre chiare (brodi e consommé), minestre legate (creme, vellutate, passati di verdura, zuppe di verdura) e minestre speciali (minestroni). I brodi sono preparazioni liquide ottenute mediante la cottura in acqua di porzioni di animali (da macello, da cortile, pesce, selvaggina) o di verdure (foglie di bieta, carote, cipolle, zucchine, patate, brassicacee, ecc.). L’apporto calorico, irrisorio nei brodi vegetali, è trascurabile nel brodo di carne magro (2 kcal/100 ml), ma può divenire discreto nei brodi non sgrassati dopo cottura e soprattutto se il taglio utilizzato è piuttosto grasso – come nei cosiddetti brodi “di terza” o “di quarta”, per la cui preparazione si usano anche bovini grassi e costolette di maiale. Discreta è anche la presenza di sodio (regolatore della pressione osmotica dei liquidi corporei e dell’eccitabilità muscolare) e di creatina (utilizzata nelle contrazioni muscolari rapide ed intense). Quando nel brodo vengono cotti ingredienti solidi (pasta, riso, paste ripiene, uova, passatelli, ecc.) la preparazione finale può divenire molto ricca (oltre 200 kcal/100 gr). Si possono citare cappelletti/anolini/tortellini in brodo, stracciatella in brodo, ma anche i noodle cinesi o i ramen giapponesi. Quanto al consommé, vi è chi lo definisce una minestra in cui prevale la componente liquida rispetto a quella solida. Invero si tratta di un brodo ristretto e chiarificato di preparazione complessa, tradizionalmente servito come antipasto e con basso apporto calorico. La digeribilità dei brodi vegetali è molto elevata; per i brodi di carne è rilevante l’effetto secretagogo provocato da un componente – l’acido glutammico – che si ottiene dalla scissione al calore delle proteine. L’incremento della secrezione gastrica favorisce la digestione dei componenti proteici del pasto ma può essere di danno per soggetti affetti da gastrite e reflusso gastro-esofageo. Il brodo di pollo caldo è un antico rimedio popolare quale decongestionante delle vie respiratorie (ad esempio in presenza di raffreddore) rivalutato da recenti studi che ne attestano la ricchezza in un aminoacido – la cisteina – analogo chimico di farmaci mucolitici a base di acetilcisteina. Le minestre legate si caratterizzano per la maggiore consistenza che viene ottenuta, secondo la cucina classica, con l’aggiunta al brodo di ingredienti addensanti: per le creme farina disciolta in acqua, con filtrazione a fine cottura ed aggiunta di burro; per le vellutate un iniziale impasto di burro e farina tostata (roux bianco) e l’aggiunta finale di una emulsione a base di panna fresca, uova, formaggio di grana, sale e pepe (liaison). Nei passati e nelle zuppe di verdure l’addensamento è dovuto invece all’amido di un ingrediente, come un legume e/o un tubero. I passati, trattati al passaverdure, possono essere ulteriormente legati con un impasto di burro e farina (beurre manié) o con farina; al contrario, le zuppe, al termine della cottura, devono presentare gli ingredienti ancora ben distinguibili e dovrebbero esser servite con crostini di pane (anche gratinati con formaggio o fritti) da “inzuppare” nella minestra. L’apporto calorico varia soprattutto in relazione alla materia prima utilizzata: 100 g di crema di piselli forniscono ca. 60 kcal, che divengono 80 nella vellutata; 100 g di passato di verdure apportano poco più di 50 kcal ma una zuppa di fagioli Borlotti 250. Rispetto alle ricette della cucina classica le attuali preparazioni delle minestre legate sono assai semplificate, per la necessità di velocizzare i tempi di preparazione, la maggiore attenzione alla composizione calorica e nutrizionale dei piatti ed anche grazie alla disponibilità di comodi utensili che ne facilitano la consistenza cremosa. Il repertorio delle ricette è molto ampio essendo correlato alla ricchezza del settore agro-alimentare ed alla specificità delle singole zone. Nella gastronomia tradizionale regionale sopravvivono piatti antichi quali il cibreo (zuppa che prevede l’insolito utilizzo di fegatini, creste e testicoli di pollo), la carabaccia (zuppa di cipolle e pane), la ribollita (zuppa di cavolo nero e fagioli), la minestra maritata calabrese (zuppa di erbe selvatiche con patate, pomodori e poca carne suina), o piemontese (che prevede riso spinaci e uovo in brodo di carne e latte). Sono zuppe anche il borsch di cavolo, il potage Parmentier, la soupe à l’oignon o la soupe de poisson francesi, così come il chowder di tradizione anglosassone. Il profilo nutrizionale di tali piatti risulta pertanto assai variegato e spesso molto ricco nelle diverse componenti chimiche (amido, proteine, grassi, minerali, vitamine ed antiossidanti), fatta eccezione per i composti termolabili (la vitamina C, la vitamina B1, la niacina, i folati) danneggiati da una prolungata cottura. I minestroni, infine, sono simili alle zuppe ma meno densi; a seconda della zona si usano specifici ingredienti per gli ortaggi e/o per i legumi, oltre a varie componenti aromatiche (aglio, rosmarino, basi lico, prezzemolo, pesto ecc.). La cottura può avvenire in brodo di carne, in brodo vegetale o semplicemente in acqua; si può aggiungere pasta o riso ed insaporire con formaggio. Un tempo ritenuti piatti poveri della tradizione contadina, sono oggi abituali componenti della dieta in qualità di piatto unico. L’apporto calorico è contenuto (una porzione di minestrone con verdure e legumi equivale a ca. 245 kcal; una porzione con verdure legumi e pasta invece ca. 350 kcal), la quantità di fibra, vitamine e minerali (potassio, magnesio, ferro) è buona. Il piatto conferisce senso di sazietà e, se contiene sia legumi che cereali, soddisfa il fabbisogno proteico giornaliero. La scelta degli ingredienti e la preparazione di minestre e zuppe richiede tempo. Per questa ragione si fa spesso ricorso ai prodotti che l’industria alimentare offre in vasta gamma (surgelati, liofilizzati o pronti al consumo); in tal caso è opportuno controllare la lista degli ingredienti (con particolare attenzione alla tipologia e quantità di grassi e agli additivi), analizzare il valore nutrizionale (soprattutto la quantità di sodio) ed il trattamento termico utilizzato. È infatti preferibile consumare prodotti freschi refrigerati, che, pur di breve conservabilità, non essendo stati sterilizzati mantengono buone caratteristiche organolettiche e adeguate proprietà nutrizionali.