Il tartufo, chiamato anche tubero di terra dal latino tardo terrae tuber, è un fungo ipogeo appartenente alla classe Ascomiceti, famiglia Tuberaceae, genere Tuber. Secondo lo storico Giordano Berti il termine con cui si designa il fungo deriverebbe in realtà da “terra tufulae tubera” (titolo di una illustrazione del Tacuinium sanitatis) e sarebbe riconducibile alla somiglianza del fungo con una pietra porosa, il tufo; la successiva contrazione in “terra tufide” avrebbe dato origine ai termini dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trifola, acquisiti dalle dizioni francese (truffe), inglese (truffle) e tedesca (trüffel). La raccolta e l’utilizzazione alimentare risale sicuramente al XIV secolo, ma le descrizioni degli storici greci e romani possono far ritenere che i tartufi fossero apprezzati e consumati fin dall’antichità. Le incertezze sulla loro natura botanica sono perdurate fino a tempi recenti: alla metà del 1800 vi era ancora chi sosteneva derivassero dalla puntura di una speciale mosca sulle radici della quercia. Il tartufo cresce naturalmente nei boschi in simbiosi micorrizica con le radici di piante superiori, soprattutto querce e castagni. Poiché i funghi non producono clorofilla, traggono nutrimento da un ospite con cui vivono in comunità biologica: le radici delle piante vengono invase dalle ife fungine (cellule filiformi di colore variabile) che penetrano negli spazi intercellulari dei primi strati corticali. Quando il tartufo è ancora giovane origina cellule femminili e maschili, dalla cui fecondazione prende origine l’ascoma, ovvero il corpo fruttifero, che può avere forma più o meno rotonda, spesso irregolare, con protuberanze e cavità correlabili sia alla specie che al terreno di crescita. La polpa (gleba) è carnosa, di colore variabile (bianco, marrone, grigio, nero violaceo, talvolta roseo o macchiato di rosso vivo sfumato); la scorza esterna (peridio) può essere rugosa o liscia, giallastra, rossiccia o nera; all’interno i fasci miceliari (le cosiddette vene) che percorarono la polpa possono avere maggiore o minore grossezza e possono divergere per colore, aspetto o sinuosità. In Italia la raccolta dei tartufi (regolamentata dalla Legge 16 dicembre 1985, n. 752) è consentita per:
Tuber Magnatum Pico, tartufo bianco pregiato, trifola bianca. Tuber melanosporum Vitt., tartufo nero pregiato. Tuber brumale Vitt., tartufo nero invernale, trifola nera. Tuber brumale, var. moschatum De Ferry, tartufo moscato. Tuber aestivum Vitt., tartufo nero estivo, scorzone, maggengo. Tuber uncinatum Chatin, tartufo uncinato, scorzone d’autunno. Tuber macrosporum Vitt., tartufo nero liscio. Tuber borchii Vitt. (Tuber albidum Pico), tartufo bianchetto, marzolino, marzuolo. Tuber mesentericum Vitt., tartufo nero ordinario, tartufo comune, tartufo di Bagnoli. Tuber excavatum Vitt. Tuber puberulum Berk. & Broome. Tuber oligospermum Vitt. Tuber rufum Pico, tartufo rossetto, patatella, fratone, rapino.
Tuber melanosporum (o Tuber nigrum) appartiene al gruppo dei tartufi a peridio verrucoso; ha in genere forma rotondeggiante, scorza nera, talvolta con macchie ferruginose, polpa nero-violacea a maturità, vene bianche ben definite, rosseggianti all’aria. Vegeta nei terreni calcarei derivanti dal disfacimento di rocce del Cretaceo, del Giuras o del Lias; può spingersi anche a 30 cm sotto terra; cresce bene dai 400 ai 1000 m. s/m ed è in simbiosi soprattutto con quercia, carpino, leccio, nocciolo e ginepro. Viene raccolto in quantità rilevanti nelle regioni francesi del Périgord; in Italia è diffuso soprattutto in Umbria, Marche e Molise: la produzione inizia a metà novembre e si prolunga fino a metà marzo.
Tuber magnatum, che fa parte dei tartufi a peridio liscio, è quello – tra i tartufi commestibili – con le maggiori dimensioni (il peso varia tra i 250 ed i 500 grammi); ha più spesso forma irregolare e lobata, con cavità e sporgenze; il colore della polpa varia dal bianco, al rosato, al marrone, al rosso vivo sfumato; le vene sono fini, bianche, sinuose; il peridio giallo, biancastro, grigio-verdastro o giallo-verdiccio. Emana un forte profumo gradevole; è tenero e digeribile; ha breve conservazione. Vive in simbiosi con pioppo, salice, quercia, tiglio, cerro, farnia, in terreni marnoso-argillosi del Terziario (colline fino agli 850 m. s/m ma anche golene dei grandi fiumi). È diffuso in Piemonte, Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Molise, Campania, ecc. dove viene raccolto tra ottobre e fine dicembre. Sono particolarmente apprezzati i tartufi bianchi di Alba, di Acqualagna, dei Colli Bolognesi. Vi sono inoltre alcune specie velenose, come Balsamia vulgaris (tartufo rosso o russo) che emana odore nauseabondo e penetrante e, quando consumato in abbondanza, provoca nausea, vomito e diarrea; e Choiromyces meandriformis (tartufo dei maiali, trifola bianca matta, rapone) che contiene sostanze tossiche termolabili. La crescita del fungo è strettamente correlata alla vita del bosco: le caratteristiche pedologiche del terreno; l’altitudine; la piovosità; la presenza di piante simbiotiche e di animali che, nutrendosi dei tartufi, consentono la disseminazione delle spore; le tecniche colturali antropiche. Essendo noto come alimento prelibato ma assai costoso, ha sempre stimolato la ricerca di un sistema di coltivazione, la tartuficoltura, da anni oggetto di studi ed approfondimenti. Dopo la raccolta, il tartufo si conserva per un tempo limitato; posto in acqua fresca corrente (o acqua rinnovata ogni 5-6 ore) può durare alcune settimane; per periodi maggiori sotto sabbia, crusca o segatura. La conservazione industriale fa ricorso alla sterilizzazione, che riduce inevitabilmente aroma e sapore. I tartufi possono essere conservati al naturale o in un liquido di governo (salamoia, vino, grassi). La raccolta viene effettuata con l’impiego di cani addestrati, in grado di individuare la presenza dei funghi grazie all’aroma intenso, riconducibile a varie sostanze aromatiche (aldeidi, esteri, alcoli, chetoni) e soprattutto composti solfo-organici: bismetiltio-metano, dimetil sulfide, dimetil trisulfide, trismetiltio- metano, ecc. Nel Tuber magnatum è prevalente il bis-metiltio-metano; nel Tuber melanosporum è prevalente il dimetil sulfide. Il bis-metiltio-metano ottenuto per sintesi chimica può essere usato come aromatizzante al posto del tartufo; sono in corso ricerche che, avvalendosi della spettrometria di massa, potranno consentire di distinguere la forma naturale da quella sintetica e sventare eventuali frodi commerciali. Sotto il profilo nutrizionale il tartufo apporta pochissime calorie; presenta un interessante contenuto proteico, con un buona percentuale di alanina, acido glutammico ed acido aspartico. Il contenuto vitaminico è irrilevante; piuttosto elevato quello di ferro. Va peraltro posto in risalto come il consumo sia decisamente limitato in termini quantitativi, sia per l’aroma intenso che per il costo della commercializzazione. L’arte culinaria ha generato, grazie alle prelibate caratteristiche organolettiche del tartufo, moltissime ricette per condire primi piatti, carni, uova e formaggi, ma anche numerose preparazioni in cui il tartufo è ingrediente incontrastato. Vi è poi una fiorente industria che utilizza i tartufi per insaporire oli, salse, grappe, amari e persino frutta (come le pesche verdi nane abruzzesi). Il tartufo, stimolante della secrezione gastrica, è controindicato per i soggetti affetti da gastrite ed ulcera. Non si possono infine trascurare i presupposti effetti afrodisiaci, che traggono origine da numerose antiche attestazioni e che sembrano trovare una qualche conferma nella ricerca scientifica. Il poeta Giovenale riteneva il tartufo originato da un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia; ed essendo Giove dotato di prodigiose capacità sessuali, il tartufo ne avrebbe assunto le caratteristiche. Il medico Galeno definiva il tartufo “molto nutriente” (!?) e in grado di “disporre alla voluttà”. Nel Tacuinium sanitatis (in cui le illustrazioni erano accompagnate da didascalie legate alla teoria medico- alchemica degli umori) si legge del tartufo: “Natura: fredda e umida in secondo grado. Giovamento: poiché riceve tutti i sapori, influisce positivamente sul coito. Danno: alle malattie malinconiche. Rimozione del danno: con pepe, olio e miele”. Nel 1474 Bartolomeo Sacchi (detto il Platina) nella sua pubblicazione “De honesta voluptate et valetudine” definisce il tartufo “un eccitante della lussuria”. Ebbene, oggi la scienza attesta la presenza in questi funghi di feromoni steroidei (tra cui il 5–androst-16-en-3-olo), ovvero molecole volatili, simili agli ormoni sessuali, di produzione ghiandolare, in grado di influenzare il comportamento sessuale per mezzo dell’olfatto. I feromoni steroidei sono prodotti da diversi animali, tra cui il verro: si comprende quindi come in passato la ricerca dei tartufi si avvalesse della scrofa, attratta dalla presenza di composti simili a quelli sintetizzati dalle ghiandole sessuali del maschio e trasferiti con il sangue a quelle salivari. I feromoni steroidei si trovano in alcune piante (come sedano e pastinaca) ed, appunto, nei tartufi, dove possono raggiungere concentrazioni piuttosto elevate, variabili tra 20 e 60 ng/g. Sostanze analoghe sono state individuate anche nel genere umano: prodotte dalle ghiandole sessuali e secrete da quelle ascellari nel maschio e rinvenute nelle urine femminili. Ebbene, alcuni ricercatori hanno documentato nell’uomo una maggiore attrazione sessuale dopo l’inalazione del 5-α-androst-16-en-3α-olo.