Diciamo subito e con chiarezza che, tra gli addetti ai lavori, il Prosecco è un vino che divide: c’è chi non lo considera un grande spumante, basti pensare alle polemiche seguite all’inserimento delle colline (attenzione: non del vino) del Prosecco tra il patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO. Ma, sempre subito e con chiarezza… diamo i numeri: 464.000.000. Già, 464 milioni di bottiglie di Prosecco sono state prodotte nel 2018, è impossibile visualizzarle con l’immaginazione! Appare quindi evidente anche ai più critici che è impossibile non parlare di una delle bollicine più vendute al mondo. Al 2009 risale il riconoscimento della DOC e il relativo disciplinare: la produzione si estende tra Veneto e Friuli; le uve utilizzate per ottenere il Prosecco devono essere per un minimo dell’85% di Glera, che gli dà struttura e fragranza; fino a un massimo del 15% si possono utilizzare vitigni autoctoni come Verdiso (per le sue note acide) Perera (per l’aromaticità) e Bianchetta (per ammorbidire i vini nelle annate più fredde); in alcune occasioni si possono aggiungere anche altri vitigni come Chardonnay, Pinot grigio, Pinot bianco e Pinot nero. Lo spumante – ottenuto col metodo Martinotti e in qualche caso con quello classico – è un insieme di freschezza e fragranza, con una gradazione alcolica che si aggira quasi sempre sugli 11°. Credo che meriti un’attenzione maggiore il “Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore” DOCG, anche perché l’Unesco ha riconosciuto proprio le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene come Patrimonio dell’Umanità. Come dicevamo, non sono mancate le polemiche, ma non si può negare, comunque la si pensi, che il riconoscimento sia andato a un piccolo territorio particolare, affascinante e unico, nel quale i sistemi di meccanizzazione non arrivano a causa della presenza di colline molto ripide, dove l’uomo è chiamato a svolgere un lavoro duro, difficile, quasi eroico. Nella produzione della DOCG Conegliano Valdobbiadene si utilizzano, in percentuale, le stesse uve utilizzate per creare il Prosecco in tutto il territorio di produzione tra le due regioni, ma osservando un disciplinare molto più rigido. In questa DOCG troviamo la dicitura “Rive”, termine che indica appunto pendici di colline particolarmente ripide; ci sono 43 rive, caratterizzate da microclimi e terreni con peculiarità molto diverse tra loro. C’è poi la DOCG “Superiore di Cartizze”, una produzione molto limitata che interessa le colline di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano, Fol e Saccol, nel comune di Valdobbiadene. Direi che può essere considerata l’esempio di qualità totale in questo territorio, dove l’equilibrio gusto-olfattivo del Prosecco prodotto si esalta. L’altra DOCG presente sul territorio è quella dei “Colli Asolani Prosecco” prodotta anch’essa con le stesse uve in 19 comuni attorno ad Asolo. Nell’ambito del Prosecco si fa sempre più interessante il prodotto definito “Colfondo”, ottenuto con un metodo di lavorazione che inizia in primavera, quando il vino fermo con residuo zuccherino viene messo in bottiglia con i propri lieviti e dove rifermenta naturalmente; non viene fatta la sboccatura e, pertanto, risulta piuttosto torbido, ma ciò è frutto di quella tradizione a cui i consumatori fanno sempre più attenzione, in un mondo fatto troppo spesso di vini omologati a un gusto medio internazionale. Come prodotti di alta qualità di questo territorio indicherei il Valdobbiadene DOCG Frizzante… naturalmente di Casa Coste Piane, il Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Brut Nature Rive San Pietro di Barbozza Grande Cuvée del Fondatore Motus Vitae di Bortolomiol e il Valdobbiadene Superiore di Cartizze DOCG Dry di Ruggeri. Interessanti approfondimenti sulla storia e sulle vicende commerciali del Prosecco sono reperibili sul sito dello storico Alessandro Marzo Magno