Non so cucinare e non so fare la spesa, ma quest’estate, in vacanza, mia moglie mi ha fatto un po’ di scuola e così, con indicazioni e foglietti puntigliosi, ho affrontato il supermercato ed anche il negozio di Roberto: la macelleria. Dovevo solo ritirare quattro porzioni di pasticcio alla bolognese (anche Roberto ha seguito l’onda e propone qualche piatto pronto) ma appena entrato ho posato l’occhio sul banco refrigerato e le ho viste: le bistecche alla svizzera. Avevo dimenticato che esistevano. Si sono ridestati ricordi di due bei periodi della mia vita: la fine degli anni ’50 ed i primi ’70. Alla fine degli anni ’50 ero un giovane boy-scout, con riconosciuta capacità ed accortezza (evidentemente poi perdute) nell’acquisto delle vettovaglie necessarie durante le escursioni. I soldi erano pochi e scoprii quelle particolari bistecche, che costavano meno di quelle “intere”. Il macellaio conservava su un vassoio i pezzi residui dei vari tagli e poi, a richiesta, macinava e pressava tra due foglietti di nylon quegli avanzi, assolutamente da non buttare e che insaporiti in cottura da salvia o rosmarino soddisfacevano pienamente me ed i miei compagni, specie dopo una camminata di ore. Nella prima metà degli anni ’70 divenni padre della mia unica figlia la quale, smesse le prime pappe, affrontò qualcosa di più sostanzioso. Le bistecche alla svizzera, cotte, sbriciolate e mescolate al purè di patate, furono il piatto gustoso che segnò il passaggio ad una alimentazione “da grandi”. Forse quei dolci sorrisi che mi regalava, battendo il cucchiaio sul seggiolone, erano anche un po’ merito delle bistecche alla svizzera. Poi un giorno, in qualche parte nel mondo, ho scoperto che altri le chiamavano hamburger. Ma quella è un’altra storia, che di certo McDonald’s conosce meglio di me.

Renato Ganeo