E’ il titolo in prima pagina del quotidiano economico Il Sole 24 ore di mercoledì 30 settembre 2009. Niente di nuovo a quanto mi risulta. E d’altronde, ci siamo mai chiesti come mai l’industria dell’auto è tipica dei soli Paesi popolosi? Perché l’evolutissima Olanda non ha l’industria dell’auto? e Israele? La Svizzera o le Repubbliche baltiche? Invece la medesima è presente in Francia, Germania, Italia, Spagna, Brasile, ecc… Giriamo la domanda: come mai non tutti i Paesi popolosi sono riusciti ad avere/ conservare una propria industria nazionale dell’auto? Appunto perché vi è stato un periodo in cui questi Stati non sono riusciti a mantenerla. La risposta è da ricercarsi nelle ragioni macroeconomiche. Se un Paese vuole dare da mangiare a decine di milioni di persone, deve necessariamente avere l’industria dell’auto. E’ un imperativo, un’equazione: > 50 ml abitanti = industria dell’auto. E’ per questo che, quando Fiat voleva tentare l’acquisto della Opel, ha trattato più con il Governo Tedesco che non con i proprietari. Un marchio automobilistico vale zero se non si trova chi è disposto a sovvenzionarlo o aiutarlo in qualche modo purché rimanga in vita. Ovviamente parliamo dell’industria dei grandi numeri, quella delle auto non di lusso.
Quando l’attivissimo Ministro Zaia pensò di organizzare il primo G8 dell’agricoltura, aveva forse in mente più di ogni altro questo paradigma dell’industria automobilistica nel mondo del 21° secolo. Data la provenienza veneta e l’estrazione politica particolarmente radicata nel territorio, è comprensibile che il Ministro avesse nel cuore di riunire il mondo nella sua Regione. La cosa originale è essere andati nelle colline di un paesello, Cison di Valmarano, che quasi nemmeno io che sono veneto conoscevo.
Non si può neanche dire che, la via dell’austerità gli fosse imposta dall’indisponibilità di luoghi di prestigio come Cortina o il lago di Garda o la bellissima Venezia i cui palazzi non hanno nulla ad invidiare ad alcuna capitale al mondo. Se amava il verde poteva scegliere i parchi di Villa Pisani o villa Contarini o altro giardino all’italiana delle ville del Palladio o dello Scamozzi. Se amava il piccolo poteva optare per una delle numerose città murate come Cittadella, Montagnana, Marostica, Soave, Este, oppure le non meno affascinanti e storiche Bassano del Grappa, Asolo, Noale, Illasi, Caorle, Castelfranco Veneto.
Se amava il bello poteva andare al Lido di Venezia o una qualsiasi altra isola della laguna, alle Tre cime di Lavaredo, qualsiasi località del neoeletto patrimonio mondiale dell’Unesco che sono le Dolomiti, o in un luogo qualunque dell’incantevole riviera del Brenta, nelle Città d’arte di Treviso, Verona, Padova, Vicenza. Invece no, se ne è andato in questo paesello che bellissimo è certamente, ma non forse straordinario nel Veneto sopra citato. Perché, mi sono chiesto io? Perché lì vicino c’è Valdobbiadene, con il suo meraviglioso centro storico, ma, soprattutto con le sue incredibili colline coltivate À no all’ultimo metro a vitigno di Prosecco. Colline che costano la “bellezza” di 500.000 euro l’ettaro. Peccato che i giornalisti, moltissimi presenti all’incontro, non sapessero tanto contare quanto scrivere. Se avessero fatto uno più uno, sarebbero giunti alla conclusione che, se la terra costa tanto è perché rende. Il messaggio lanciato al mondo, non era quello che con un ettaro di terra si può vivere bene anche senza dover sponsorizzare l’industria automobilistica?
Nota Bene: a Cison, come in tutto il Triveneto, la disoccupazione è ai livelli più bassi di tutto il mondo, e non troverete nessuno che sappia montare nemmeno un cruscotto!

Nereo Marrazo