Dire che era furibondo era dir poco. Doveva festeggiare il lavoro appena trovato, a tempo indeterminato, ripeto, indeterminato, con la fidanzata in un bel localino cercato con pazienza certosina, girando in bici per la città, quando, non appena assaggiato l’antipasto, lei aveva portato il discorso sullo stipendio. – E’ possibile che ti diano così poco? – Amore, guarda che mi hanno assunto senza contratto a termine. Avrò le ferie pagate, la malattia, i contributi per la pensione per il resto dei miei giorni… – Campa cavallo per la pensione. Devi pensare all’oggi. Sei laureato in informatica, non con la triennale ma con la laurea di seria A. – fece una pausa che minacciava tempesta. – Se ci sposiamo dobbiamo almeno contare su tremila euro tra la tua paga e il mio stipendio. – Scusa, tesoro, perché la mia è una paga e il tuo è uno stipendio? A quel punto la miccia era stata accesa e quel che ne seguì fu una fantasmagoria di fuochi d’artificio che attirarono su di loro l’attenzione di tutti gli altri commensali. Siccome gli era venuto l’impulso di metterle le mani al collo e stringere, gettò per terra il tovagliolo, si alzò di scatto facendo cadere la sedia, uscì dal locale non senza aver lasciato una banconota da cinquanta euro al disorientato cameriere che li prese, considerando che un paio di antipasti erano ampiamente ben pagati con tale cifra. Il nostro prese una strada a caso, camminando come un forsennato, senza sapere dove sarebbe andato. Aveva la mente vuota e il fiato furioso, deciso ad andare in capo al mondo finché avesse avuto vita. Non riusciva nemmeno a pensare a quella stronza della sua fidanzata che era scomparsa nel nulla. Era un contenitore vuoto di tutto ma incazzato. Non seppe mai per quanto camminò. Si trovò, improvvisamente, nel bel mezzo di una bolgia in una frazione della sua cittadina che non aveva mai frequentato. C’erano banchi, banchetti, gazebo, tiro a segno, orchestrine che suonavano infastidite da metallari dalle chitarre sguaiate. Erano in tanti. Tanta gente, gente allegra: ridevano, mangiavano, bevevano. Una baldoria generale e lui ci si perse. Fermò uno che aveva l’aria di essere uno di servizio per chiedergli dove fosse capitato. Gli rispose che era uno “street food”. – E in italiano come sarebbe? – Si cucina il cibo per strada e lo si mangia per strada. – E perché lo dite in inglese? – Vuole mettere? Tra tutti quei profumi, si rese conto di non aver mangiato e pensò che fosse il caso di approfittarne. Fu uno degli ultimi a lasciare la festa quella sera e rientrò alle tre del mattino. Non rivide più la fidanzata. Adesso ha tre figli con una tipa conosciuta quella notte.

Dello stesso autore: “Le tue valigie sono dalla vicina” – romanzo.