Cotechino e zampone vanno molto d’accordo, come se fossero … parenti! E’ anche vero che il secondo è un poco più giovane del primo ed ha un blasone più importante, che lo lega a Modena in modo indissolubile, come lo sono la Ghirlandina o il Lambrusco. Povero lo è certamente se si pensa che il nome del cotechino origina la materia prima di cui è composto: usare le cotenne per accrescere il disponibile a tavola non deve essere stata una grande “pensata” e così, fino al ‘700 il cotechino fu regolarmente ignorato dall’arte salumiera, che era stata influenzata dalle scuole dei pastori di Verica. Quando erano liberi dagli impegni della custodia delle greggi insegnavano l’arte della macellazione ai valligiani. La prima volta che si parla di cotechino è in un calmiere del 1745: fino ad allora, essendo un prodotto volgare, non fu mai soggetto a calmieranti. Ma si originò, allora, anche lo zampone: il primo riconoscimento ducale è del 1776 quando Francesco III, Governatore di Milano, mandò a prendere da Modena, con grande urgenza, 24 “zampetti d’ottima pasta”. Un’altra storia, narrata dallo storico Marco Cesare Nannini, dichiara che la prima produzione di zamponi è di Mirandola ed è del 1511. In quell’anno la città era stretta da assedio dalle truppe di Papa Giulio II, in contrasto con la famiglia Pico. Sembra che gli assediati cominciassero a salvare le risorse alimentari insaccando parti di impasti poveri in cotenne ravvolte a manicotto. Poi invalse l’uso di scuoiare lo zampetto anteriore e nacque così…. E’ fatta: lo zampone non calerà mai di tono e resterà fumante, colloso ed attaccaticcio nella nostra mensa invernale, con contorni di vario tipo: dai fagioli in umido (“faso” dal Pepa ma anche i “deint ad vecia”), con purè, spinaci, salse. Sono in grosso calo le lenticchie che nell’immaginario popolare sono ancora in gran vista: forse perché sono bene auguranti. Una curiosità: nel secolo scorso si faceva uno zampone al cedro.

Nella concia si aggiungeva un trito di cedro candito, mescolato a Malvasia bianca. Dal cotechino da cui è nato lo zampone sono poi derivati altri insaccati che sono simili e vanno tutti consumati bolliti. Cappello del prete: come un tricorno antico ha l’impasto del cotechino o dello zampone e viene usata la sottile cotenna della pancia del maiale. Sassolino o Sassolese: utilizza la stessa cotenna morbida della pancia, ma va arrotolato a forma cilindrica e può essere affettato interamente (non ha, evidentemente, unghietti in fondo). Si cuociono da freddo, in una zamponiera (una volta ce n’erano anche per cottura a vapore), con acqua che freme. Se parliamo di come è composto uno zampone, quali carni debbano essere usate, quali siano i profumi che ciascun produttore usa, entriamo in un mondo in cui le eguaglianze sono molto poche: la carne deve essere di spalle, collo, testa, polpacci, si deve usare anche guanciale ed ottenere un dosaggio di grasso e magro perfetto. Poi sale, pepe, noce moscata, cannella regina dell’impasto e chiodi di garofano (e ciascuno ha le sue quantità). Riempita la zampa di maiale si va verso la stufatura, la breve stagionatura ed è pronto per essere mangiato tutto. Guai a lasciare nel piatto quella perfetta guaina che porta a perfezione questo cocktail di carni suine. Cosa bere? C’è un proverbio antico che così recita: “La cucina mangia la cantina.” Ognuno con i propri piatti beve i propri vini. Cultura antica che vedeva poco “movimento del vino”. Perciò Lambrusco come se piovesse e null’altro. Vino semplice, di pronta beva, che controbatte il grasso di questi insaccati.