Hamburger e polpette al formaggio
I miei ricordi culinari si perdono nella mia gioventù, quando ero ancora un “petit enfant”. Siamo negli anni ’60, le cadenze gastronomiche settimanali dettate dalla mamma erano più o meno sempre le stesse, con varianti festive quando si festeggiava il sacro pranzo della domenica. Durante la settimana, a pranzo, spaghetti n°3 Barilla conditi da una generosa e profumatissima salsa al pomodoro fatta rigorosamente in casa. Il secondo, dopo due piatti di pasta, era un qualcosa in più: bistecchina magra alla pizzaiola con relative patate sempre alla pizzaiola. Le sorprese venivano la sera, quando eravamo tutti a tavola. C’erano dei giorni fissi in cui si mangiavano le stesse cose, ovviamente volute da noi figli. Il lunedì si finivano gli avanzi della domenica o, a volte, bastava una bella “scodella” di caffelatte con intriso il pane, e poi, dopo Carosello, tutti a nanna. Il martedì, mamma tornava dal centro della città con un cabaret ricolmo di panini al latte farciti, tramezzini, pizzette, pasticcetti di carne, acquistati in un bar pasticceria famoso per le sue leccornie. E lì era lotta dura per conquistarsi il migliore, ma soprattutto la lotta era per la quantità: in pochissimi minuti tutto spariva. Il mercoledì era dedicato alla pizza. Mamma prenotava le pizze in un forno a legna vicino casa, oppure faceva levitare la pizza Catarì del tipo croccante, per sfornarla all’ora di cena. E anche in quell’occasione scoppiava la guerra per assicurarsi il pezzo più grande. Il venerdì era il giorno del piatto freddo costituito da tonno sott’olio, condito con patate lesse e cipollotti, a volte polpettine di tonno con uova sode, prosciutto e salumi vari e, per finire, il formaggio caprino condito con olio pepe e sale. La cosa che mi faceva sorgere il dubbio era l’etichetta di questo formaggio fresco spalmabile, con una acidità intensa. Leggevo “caprino” in grandi caratteri, e con caratteri più piccoli nell’elenco degli ingredienti “prodotto con latte vaccino, sale e caglio”. Qualcosa non mi tornava, ma eravamo in pieno boom economico e l’industria casearia faceva quello che le pareva. A me quel formaggio non piaceva. Il sabato era il giorno del catechismo, barbiere e vasca da bagno, c’era poco tempo per il cibo. Ma torniamo indietro di due giorni e consideriamo il giovedì. La cena era dedicata alle famose “svizzere”. Eravamo troppo piccoli per desiderare delle belle “svizzerotte” in carne e ossa, ma a noi piacevano le famose svizzere, antesignane degli odierni hamburger. Ricordo come erano predisposte nei banchi delle macellerie, sovra poggiate una sull’altra, intervallate da un sottile velo di plastica alimentare dello stesso diametro della svizzera; e così andavano cotte in padella, sempre con questa sottile plastichetta, ed io non ne ho mai capito il significato. Comunque, così era. Imparai subito i segreti per confezionare una svizzera, hamburger o polpetta. Macinato di manzo o di vitello, pane raffermo ammorbidito nel latte e opportunamente strizzato, uova, prezzemolo, sale pepe e formaggio grattugiato, che sia Grana Padano o Parmigiano Reggiano, il tutto sapientemente amalgamato trasformando in polpetta o hamburger, et voilà il gioco è fatto. A me, però, piace giocare con l’impasto e, al posto dei formaggi poc’anzi menzionati, mi diverto a tagliare a cubetti una fontina d’alpeggio o suo cugino Bettelmatt della Valle d’Aosta del caro amico Carlo Guffanti Fiori. E se poi ci mettiamo del profumato Castelmagno di Giorgio Amedeo della Meiro? O, magari, un Piave fresco o mezzano, un dolce marzolino toscano del caseificio Fiorino o, ancora, un Don Carlo pugliese dei Fratelli Cassese. E siamo arrivati in Sicilia: pensiamo allora a un Caciocavallo ragusano non troppo stagionato, o a un grande pecorino sardo dei miei amici Busso del caseificio “Debbene”. Attenzione, però, i formaggi non devono essere troppo freschi o troppo cremosi, e nemmeno troppo stagionati. Provate per credere. Un ultimo consiglio. Prendete una bella casseruola, oliatela per bene con olio extra vergine di oliva e uno spicchio d’aglio che toglierete subito. Tuffate dei pomodori sbollentati, privati dalle bucce e dai semi, appallottolate le piccole polpettine, grandi appena la punta di un indice, ripiene del formaggio che desiderate. Con i palmi delle mani fate dei movimenti circolari senza premere, come fosse un gioco, e fatevi aiutare dai vostri figli, coinvolgendoli in una gara che premia chi le fa più piccole. Immergete le palline di carne nel mare rosso del pomodoro che pippa a fuoco lento, lasciatele nuotare, dopo mezzora spegnete il fuoco, aggiungete basilico, timo, maggiorana, e condite i rigatoni, di grande qualità. Infornate per pochi minuti, aggiungendo delle strisce di provola non affumicata. Servitele e sarà una festa!