L’oca, cugina del cigno, ma meno bella e nobile, è un noto anatide di origina antica e tuttora molto diffuso per gli allevamenti soprattutto in Veneto e in Lombardia dove sono apprezzate le sue carni fresche destinate agli arrosti, oppure stagionata, per il famoso petto affumicato o per gli insaccati come il delicato prosciutto. Per i gastronomi l’oca è subito associata al famoso foie gras. Specie protetta, quella selvatica è comunque obiettivo frequente dei cacciatori soprattutto dove questo splendido uccello può facilmente trovare specie vicino all’acqua gli alimenti preferiti, insetti, lumache, lombrichi, piccoli pesci, ma anche vegetali, semi, bacche, germogli, tuberi e radici scegliendo per la riproduzione luoghi protetti e nascosti dai disturbatori. Stessa alimentazione pressappoco per le specie domestiche che si nutrono con meno fatica di granaglie, di verdure, di bietole, di radici e volentieri anche della vegetazione degli argini di canali e di fiumi. Le oche sono nella storia o forse solo nella leggenda, anche per gli scritti di Tito Livio, padovano di nascita ma autore romano per quanto scrisse sulla città eterna compreso un capitolo sull‘allarme che i pennuti, sacri a Giunone, diedero starnazzando fragorosamente all’arrivo dei Galli invasori attraverso il Campidoglio. Per la storia bastano queste brevi note. Per la gastronomia invece…Secondo Apicio. “Oca va preparata allessa con salsa fredda: trita del pepe, del ligustico (pianta officinale notissima nell’antichità), del coriandolo e menta e ruta. Versavi della salsa di Apicio (salsa romana attribuita al mitico cuoco e scrittore romano) e tempera moderatamente con dell’olio. Asciuga con un tovagliolo netto l’oca lessata ancora bollente. Versavi sopra il sugo e servi.”). L’oca, il “maiale dei poveri”, è popolare nelle nostre campagne. Michele Savonarola, scrittore padovano, nel suo “Libreto de tutte le cose che se manzano” 1508, suggerisce che “le oche devono essere “infiate” (ingrassate) e mentre arrostiscono vanno unte continuamente d’olio e insaporite con aglio e spezie.” “…si diede principio col brodo ch’era d’oca, il fritto era d’oca, il lesso era d’oca, l’umido era d’oca e l’arrosto di che credete che fosse? era d’oca.” (Pietro Artusi, “La scienza in cucina” 1891). E veniamo alle anatre. L’anatra, addomesticata dal germano reale, era cacciata dagli antichi romani che poi la mettevano a ingrassare in voliere. Differente nel peso, nella colorazione e nella deposizione di uova (dalle 20 alle 350 uova all’anno) è diventata col tempo poligama (secondo le razze, un maschio può avere un harem che comprende dalle tre alle sette femmine). È allevata da secoli per la carne, le uova, le piume, come animale da compagnia e perfino come richiamo per le specie selvatiche. Oggi è molto diffuso soprattutto in alcune regioni, l’allevamento professionale delle anatre domestiche le cui carni sono ottenute da ibridi tra anatra comune e anatra muta. E torniamo in cucina con il solito Apicio: “Anatra arrosta. Un po’ di laser (frattaglie), sei scrupoli di pepe, un bicchiere d’olio, un altro di salsa di Apicio e un po’ di prezzemolo”. “L’anatra è più calda di tutti agli augelli domestici: è anco molto humida, tardi digerisce ma le sue ali e il suo fegato sono molto lodati di nuovo e presto nutrimento… (Baldassarre Pisanelli, medico e dietologo, “Trattato della Natura dei Cibi e del bere” 1583). “…le anatre giovani si ingrassano con un impasto di grano turco pestato (mais) unito a un tantino di sale, latte rappreso e trifoglio sminuzzato (Giobatta e Giovanni Ratto, La cuciniera Genovese, 1863). L’anatra domestica è la protagonista indiscussa di sagre, feste, anniversari, occasioni collettive (allo spiedo, al forno. In padella). Ogni paese ha la sua ricetta rispettata dalla tradizione in cui l’anatra fa sempre la sua bella figura appagando i gusti di tutti.
Storie brevi di oche, anatre, arrosti e sughi
Tempo di lettura: 2 minuti