Nel mondo della cucina si lanciano spesso accorati appelli a oscuri “principi etici” che dovrebbero orientare l’odierna arte culinaria verso la ricerca di un gusto giusto, pulito e sostenibile per il palato e per l’ambiente. Cosa è giusto fare, cosa è giusto mangiare? Allo stesso modo, dicono i filosofi, dovrebbe esserci giustizia nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. Quale sia, però, questa giustizia, è ancora dibattuto – e per fortuna: il pensiero critico, così come la buona cucina, diffida di ricette immutabili e risposte precotte. Il ritorno alle radici, ingredienti dimenticati e, eppure, espressione di una secolare tradizione culinaria (si pensi all’affascinante viaggio del topinambur e della pastinaca raccontato nella Favolosa storia delle Verdure di Évelyn Bloch-Diano), segna in realtà un ritorno alla nostra coscienza di mangiatori e raccoglitori, alla giustizia di una presunta età dell’oro in cui il cibo che mangiamo è autentico, genuino, sano. Non solo siamo ciò che mangiamo, ma il cibo è ciò che siamo – o che vorremmo essere.

di Francesca Iurlaro