Di cosa parliamo? Sembra si trovi nel Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino la prima ricetta delle polpette. Pellegrino Artusi poi parte da un piatto della cucina povera, utile al recupero di avanzi e della carne lessa in particolare, fino all’evoluzione in piatto di maggior prestigio, prodotto con ingredienti acquistati appositamente. Presenti in tutto il mondo, le polpette a forma di pallottole sono praticamente delle pietanze, generalmente a base di carne, ma anche di verdure o pesce, impastate e poi cotte in vari modi. L’hamburger, prima di identificarsi con un tipico prodotto fast food, altro non sarebbe che una polpetta più grande, solitamente di carne bovina, macinata, pressata e cotta prevalentemente sulla piastra. La sicurezza alimentare varia ovviamente con la qualità delle materie prime, la loro quantità e le modalità di lavorazione, di confezionamento e di cottura. Tanto più elevata è la superficie di contatto con l’aria e tanto più probabile è la proliferazione dei microrganismi. Anni addietro in uno spot televisivo, un amico chef spiegò il fenomeno ad un’ingenua (?) Orietta Berti spiegando che con l’aumento della carica batterica si osservava anche un aumento di volume della massa di carne macinata! Un po’ approssimativa come spiegazione, ma molto efficace…Il concetto del “recupero” a livello industriale è ampiamente sfruttato con tagli poco pregiati o sfridi di altre lavorazioni. Vale anche l’altro principio della “nobilitazione”: basta pensare al successo degli hamburger di razze bovine pregiate (chianina, fassone piemontese, ecc…). Non mancano neanche le versioni vegetariane o vegane. L’attenzione per gli aspetti ambientali (per moda o per profonda convinzione, magari anche di salvare il pianeta) ne sta condizionando l’offerta nelle grandi catene di fast food o della GDO, mentre sono presenti ormai da tempo nei negozi specializzati di prodotti bio. Ci riferiamo alla categoria di alimenti “ingegnerizzati”, ovvero di “simulazioni” o surrogati di prodotti carnei con l’utilizzo di proteine vegetali. Il principio di base è quello che porta ai ben noti “tofu” [proteine della soia] o “seitan” [proteine del grano], prodotti che possono apparire oggi quasi come preistorici. Lavorare proteine vegetali e renderle appetibili richiede un contributo tecnologico di altissimo livello e notevole esperienza. Le proteine vegetali vengono texturizzate per assumere una struttura unica identica alla carne. Qualcuno utilizza anche la stampa 3D che consente non solo di imitare le fibre della carne, ma anche il modo in cui il grasso e l’acqua vengono intrappolati nella matrice di carne. Il risultato somiglia molto alla carne reale per consistenza, sapore e struttura. Il contenuto proteico può essere anche maggiore della carne vera. Il sapore finale non può che essere conseguenza dell’aggiunta degli “aromi giusti”. Nuovi progetti sono allo studio per moltiplicare le fonti di proteine in modo da migliorare il profilo nutrizionale mantenendo la qualità organolettica elevata. Si utilizzano oltre alla soia ed al grano anche proteine del riso, dei piselli o di altri legumi, in modo da garantire anche una certa biodiversità negli approvvigionamenti. L’obiettivo ovviamente deve garantire anche le opzioni “gluten free”. Questi “veggie” burger non contengono colesterolo, ma i grassi sono spesso quelli dell’olio di cocco e/o di canola, in qualche raro caso nostrano l’olio di oliva. Il colore rosso è dato da succo di barbabietola. Per migliorare sapore e consistenza vengono talvolta utilizzati aromi e stabilizzanti come cellulosa di bambù, metil cellulosa e glicerina vegetale. Negli USA esiste un grande produttore il cui nome è tutto un programma: IMPOSSIBLE FOODS. Non è potuto (ancora) sbarcare in Europa in quanto non autorizzato, nonostante il loro hamburger abbia ricevuto l’imprimatur della FDA (Food and Drug Administration) dopo ricerche approfondite sull’ingrediente chiave, la leghemoglobina di soia geneticamente modificata (una proteina contenente “eme”, una molecola con ferro e presente naturalmente in animali e piante). Questa molecola contiene 46 proteine aggiuntive ed è sospettata di essere un potenziale allergene. Non mancano dunque i problemi da risolvere per stare completamente tranquilli! I prodotti sul mercato evolvono velocemente e sono soggetti a rapido turnover. È certo che, prima o poi, anche i “carnivori” più incalliti dovranno fare i conti con il futuro della carne proveniente da allevamenti intensivi, che sembra segnato… Intanto ci toccherà forse diventare flexitariani!

Luigi Tonellato