Archestrato di Gela (seconda metà del IV° secolo a.C., precursore di Epicuro) raccomandava di “servirle rugose e mature e che tutti mettano sempre il finocchio in quelle in salamoia”. Ippocrate (seconda metà del IV° secolo a.C. circa) le considerava molto nutritive, tanto che – secondo lui – un uomo poteva sopravvivere con otto olive al giorno. Anche Platone (IV°-III° secolo a.C.) era un gran estimatore di quel sacro frutto, tanto che, invitato nei simposi, pare mangiasse solo olive, specialmente quelle lasciate maturare sull’albero… [Ettore Franca, O.L.E.A. gli olivi e l’olio, Organizzazione Laboratori esperti Assaggiatori, Pesaro, 2010]
Non vi sono prove di un ruolo dell’oliva nella morte del loro coetaneo Socrate. Quando si deve affrontare un’analisi dei pericoli e successiva valutazione dei rischi per garantire la salubrità di un alimento, la primissima cosa da fare dovrebbe (condizionale, perché purtroppo molti trascurano questa fase) essere l’analisi storica del prodotto. Sicuramente vi è stata un’evoluzione nei gusti, con aggiustamenti ed affinamenti del procedimento di trasformazione, ma non dobbiamo ignorare che 2400 anni di storia di olive in salamoia dovrebbero garantire una certa affidabilità alla “ricetta”. In Italia, con l’ampliamento delle indagini scientifiche e l’aumento delle conoscenze, si sono individuate circa 538 varietà (cultivar). Le varietà di olive esistenti possono essere classificate in base alla loro attitudine prevalente, per cui avremo (secondo consuetudine e non dogma):
• olive da olio: la maggioranza delle varietà.
• olive da mensa (o da tavola): Bella di Cerignola, Nocellara del Belice, Ascolana tenera, sant’Agostino, …
• olive a duplice attitudine: Nocellara Etnea, Taggiasca, Carolea, Itrana, …
In linea del tutto teorica, le olive da mensa – raccolte generalmente prima – sono caratterizzate da dimensioni maggiori rispetto a quelle per l’estrazione di olio, presentano un rapporto polpa/nocciolo più elevato e, ovviamente, un contenuto di olio più basso. La polpa si presenta consistente, compatta e ricca di zuccheri, che entreranno in gioco durante la fase fermentativa che caratterizza la lavorazione per la riduzione del sapore amaro. Tale periodo può variare da 20-30 giorni fino a 2-3 mesi. In questo lasso di tempo batteri lattici, lieviti e altri microrganismi riducono naturalmente il pH delle olive, fanno perdere il sapore amarognolo e permettono la successiva, durevole conservazione. Il trattamento si può effettuare con salamoia o con soda. Non devono mancare i numerosi lavaggi per l’allontanamento dei composti indesiderati o delle eccedenze di sale o di soda. Importante è il rispetto delle GAP (Buone Pratiche Agronomiche) nella produzione primaria e delle GMP (Buone Pratiche di Produzione) per assicurare sia Quality che Safety. Per le olive da mensa, vi è inoltre minor tolleranza per difetti di superficie.