“Non crediate che io abbia la pretensione
d’insegnarvi a fare le polpette…”
(Pellegrino Artusi, “La scienza in cucina e
l’arte del mangiar bene”)

Come al solito la cucina e non soltanto la nostra, ha tanti padri. Anche i famosi hamburger. Di sicuro si sa che sono di origine tedesca e da Amburgo appunto, sono arrivati (Ottocento?) fino negli Stati Uniti e di qui in tutto il mondo. Questa gustosa, grassa polpetta di carne (e tante aggiunte di salse colorate), una vera bomba calorica che i dietologi vietano senza attenuanti, è diventata nel giro di pochi decenni un piatto di cui si sono impadronite la macchina pubblicitaria e la potenza promozionale americane che non hanno fatto molta fatica a convincere milioni di persuasi appetiti senza molte pretese. Bastava un po’ di carne macinata, dare la forma di una pallina più o meno grossa, schiacciarla e metterla su una piastra bollente. E questo all’origine. Le modifiche sono arrivate pian piano a seconda delle latitudini: la foglia di insalata, una fetta di salume, una di pomodoro, l’uovo fresco, il formaggio tenero, le spezie, gli aromi, il pane ammollato ecc. a imbottire un panino rotondo. La conquista del mangiare veloce, e magari per strada o negli steakhouse con le immancabili patatine fritte, ha avuto molte modifiche, almeno da noi, mercato sicuramente più esigente: le grandi catene alimentari comunque hanno avuto l’intelligenza di adattare gli hamburger, definiti in più occasioni da Sergio Grasso “archetipo della destrutturazione carnea”, nelle sue molte composizioni, ai gusti e soprattutto alle produzione agro -alimentari locali. Ma c’erano da convincere, gli italiani soprattutto, gli europei in genere produttori di polpette – gofta, fleischiaberl, ballekers, frikadeller, klopswe, pulpette…- e anche cuochi di tutto il mondo, che moltissimi secoli prima c’erano sicuramente le polpette, da noi sono da tempo nobilitate pur nelle molte variazioni e nomi regionali. Il misterioso Apicio, già nel II Secolo a. C. le descriveva nel suo prezioso “Manuale di gastronomia” e secoli più tardi le decantava il Maestro Martino nel suo celebre libro “De arte coquinaria”, tanto per fare qualche documentato richiamo storico. Poi, saltando i tempi di re e prelati, di opulenze e fami, le polpette, originarie dalla Persia e diffuse prima dai romani, poi dagli arabi, sono finite nella Storia per aver soddisfatto la nota golosità di tanti personaggi come Rossini e perfino Manzoni che le inserì nei dialoghi dei personaggi de “I promessi sposi” e poi le descrivono Porta, Rajperti, De Marchi, Artusi, Camilleri e più tardi Scapin, Comisso, Mazzotti, Maffioli… Hanno adesso una enorme letteratura che in migliaia di ricette ci propone un mondo saporito, quello delle polpette. Appunto, fatte di carni, pesci, verdure e perfino di polenta. L’importante è che ci siano ancora, chiamate involtini o mondeghili in Lombardia o granatine dalla Liguria alla Campania, pipette in Sicilia o purpette in Calabra, sempre polpette sono, con la carne macinata fresca o recuperata un buon appetito e tanta fantasia. È questa l’ennesima sfida alla genialità dei cuochi di Zafferano

Carlo Mocci