I soliti cinesi, sembra nell’ultimo millennio avanti Cristo, hanno cominciato ad usare il ghiaccio per conservare i cibi. E forse con loro è entrata in cucina la prima tecnologia. Per secoli, dall’uomo primitivo in poi, cucinare significava posare la carne su graticci, o piastre, raccogliere tutto in recipienti in terracotta, diventati più raffinati, anzi artistici, successivamente ma con lo stesso scopo. Bastava qualche mestolo, coltelli, piatti e scodelle. Eppure le grandi civiltà dalla mesopotamica alla romana, tanto per non andare troppo lontani, avevano affinato i mestieri in cucina e quindi i cibi, moltiplicato la disponibilità di ingredienti, scoperto la conservazione sotto sale, sotto spezie e sott’olio, approfittato di sfruttamento intensivo di terreni e allevamenti e importazioni da altri mondi. Ma anche nella ricchezza più sfrenata, nelle più celebri abbuffate, nei tesori gastronomici di Apicio e di tanti che hanno scritto di cucina dove pur emergono straordinarie ricette, non si sa molto delle procedure tecniche usate se non delle straordinarie professionalità di cuochi (ma anche, qualche secolo dopo, di scalchi e trincianti, vere e proprie specializzazioni) ma pochissimo degli strumenti utilizzati, degli ambienti e della loro caratterizzazione. Eppure il genio romano progetta e realizza cucine estremamente funzionali, con spazi appositi per la conservazione dei cibi, sfruttando le tecnologie dell’ingegneria idraulica in piccola scala per avere l’acqua corrente, fredda e calda. Neanche la pittura che pure ci ha trasmesso immagini di piatti prelibati, banchetti patrizi e di pasti collettivi popolari, ci può aiutare molto. Anche se si vedono gli spiedi giganti, le pentole di rame, i mortai di pietra, i setacci e, molto più tardi, eredità bizantina, perfino la forchetta. Resta, per fortuna, l’archeologia e poco di più per identificare strutture e ambienti molto più caratterizzati di quanto si pensi. Nel 1474 si stampa a Roma quello che è ritenuto il primo ricettario italiano, il De honesta voluptate et valentitudine di Bartolomeo Sacchi detto Platina, umanista e letterato presso la Curia romana, che amplia e completa, riconoscendolo, l’opera di Maestro Martino, cuoco del Patriarca di Aquileia e di Gian Giacomo Trivulzi. Questo testo conoscerà un folgorante successo seguito con fortuna da altri cuochi che diventano trattatisti. A metà del Cinquecento nasce la grande cucina italiana che tutta Europa ci invidierà grazie ai suoi celebri cuochi che esercitano presso le corti o le curie. La loro cucina ha sostituito lo zucchero alle pungenti spezie e le pietanze odorano ora di muschio e di ambra. Fra il Seicento e il Settecento i cuochi si sono trasformati (per le classi abbienti ovviamente perché il popolo aveva altro di cui occuparsi) in abili manipolatori, creatori di complesse statue o di effimere costruzioni alimentari che ornano le tavole. Nel Settecento le nuove mode vengono da Parigi (il Ristorante, il Caffè). Anche la cucina che adotta a livello mondiale una terminologia tutta francese, segue i dettami dei cuochi francesi che vedono i loro ricettari tradotti in italiano. Verso la fine del secolo cerca di imporsi una nuova cucina che affonda le radici nelle nostre tradizioni gastronomiche regionali, nell’intento di semplificare quella proveniente da Oltralpe divenuta troppo complessa e sofisticata. La rivoluzione francese fa risentire i suoi effetti innovatori anche i cucina: grandi ristoranti con enormi cucine e squadre di cuochi (Marie Antoine Careme, il più grande gastronomo dell’epoca) ma soprattutto fu rivoluzionato il concetto di cucina in casa: la borghesia nel secolo della sua massima affermazione sociale, incluse subito la gastronomia tra i requisiti di immagine e dotò le case di una stanza apposita, e di un paio di interessanti novità: l’ acquaio addossato al muro, lo scaldavivande e la pentola a pressione. È il momento della ghisa, materiale duttile e di facile lavorabilità che espande il suo utilizzo dall’architettura all’ambiente domestico: arrivano le pentole e le stufe. Un materiale declinato in maniera così elegante da sfociare nella stupefacente cucina realizzate nel Padiglione Reale a Brighton nel 1818 dall’architetto John Nash. Da questo punto possiamo affrontare il tema di questo breve viaggio nelle cucine dei tempi passati. Con l’Ottocento si moltiplicano i ricettari locali, talvolta anonimi, dove per la prima volta è codificata la gastronomia delle varie regioni se non addirittura delle singole città dell’Italia Unita. Nel 1891 nasce La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, banchiere e gourmet, letterato e curioso. Ricette certamente, e con molte lacune, ma è il secolo della sterilizzazione dei cibi, della stufa in ghisa con i forni incorporati. Verso la fine dell’Ottocento a gas, poi elettrici negli anni venti del ventesimo secolo e polifunzionali, quelli a microonde (Usa 1957), le affettatrici (fine Ottocento), le impastatrici e trafile meccaniche e una lunga serie di attrezzi minori ma ormai indispensabili in ogni casa e nella ristorazione e di èlite e in quella collettiva. Nel 1927 viene presentata la Frankfurter Kuche l’architetto Grete Sdutte-Lihotzky organizza lo spazio in cucina dando un ordine agli arredi, posizionando tutti i mobili lungo i muri in modo da avere spazio E così l’inserimento del frigorifero, la cucina assemblata importata dall’America, l’invenzione dei pensili che tuttora la contraddistinguono, la lavastoviglie i nuovi materiali. I piani di cottura, gli abbattitori, i mille miscelatori… Ma di questo parleremo in seguito