Apicio, grande cuoco romano e autore del più importante libro di ricette di età romana, il de re coquinaria, dedica ampio spazio alle salse fornendo molti dettagli anche sulla loro realizzazione, indice dell’importanza che esse rivestivano nella cucina antica. Secondo Apicio le salse, grazie all’infinita possibilità di mescolare sapori e odori, erano essenziali per rinnovare piatti tradizionali rendendoli originali e ricercati con il fine di stupire gli ospiti offrendo prelibatezze dai profumi “esotici”. La loro importanza nella cucina romana è altresì testimoniata dal fatto che l’autore si dilunga sulla modalità di realizzazione delle salse e sugli ingredienti da adoperare a differenza di quanto avviene spesso per la cottura dei piatti. È evidente che le salse venivano utilizzate in cene ricercate sia per la rarità e il costo degli ingredienti usati che per il tempo di realizzazione e prepararle non era soltanto un modo per soddisfare ospiti esigenti, ma era una vera e propria ostentazione di ricchezza. A giudicare dalla tipologia di ingredienti e dai nomi delle salse, si scopre che infatti gran parte dei prodotti giungeva dalla Grecia e dall’Asia Minore. Spezie rare e costosissime come il silfio o lo zafferano utilizzate per la loro realizzazione non erano certamente alla portata di tutti ma, dalle parole degli autori antichi, desumiamo che anche i piatti dei ceti meno abbienti erano insaporiti da salse e condimenti. Certamente la salsa più a buon mercato della quale esisteva una gamma molto varia e dai prezzi alla portata di tutte le tasche era il garum, la salsa di pesce, ampiamente utilizzata nella cucina romana per lo più come condimento. Nel I libro Apicio redige una corposa lista di salse utili ad accompagnare le pietanze, dai crostacei ai tartufi e di alcune ricorda anche gli effetti benefici per la digestione. Per ciascun capitolo dedicato a tipologie diverse di piatti, fornisce inoltre una serie di ricette di salse da utilizzare come accompagnamento alle carni, distinte a seconda del tipo e del modo in cui si potevano cuocere. Sono presentante ricette di salse per carni lesse, a pezzetti, per cacciagione, per volatili, per pesci, mitili o salse utilizzabili su svariati piatti come la Hypotrimma, il cui nome di origine greca ne indica la provenienza. Si trattava di una salsa di erbe piccanti per la quale era necessario utilizzare pepe, ligustico (o laserpitium, cioè latte di silfio che era ricavato dal tubero radicale del silfio, una sorta di finocchio oggi scomparso. Esso veniva inciso a fine primavera per estrarre una gommoresina acre, rossa e traslucida, internamente trasparente e solubile in acqua, simile alla mirra), menta secca, pinoli, uva passa, datteri, formaggio dolce, miele, aceto, garum, olio, vino, mosto cotto e vino riscaldato. Per la Moretaria, come ricorda il nome, era necessario l’uso del mortaio e anche questa era piccante e per la sua realizzazione venivano utilizzate erbe verdi come la menta, la ruta, il coriandolo e il finocchio alle quali si aggiungeva ligustico e pepe, unitamente alle componenti liquide di miele e garum. Infine, Apicio propone l’aceto come aggiunta opzionale. Per le carni di volatili, in particolare anatre e gru, Apicio propone una specifica salsa realizzata con pepe, cumino fritto, ligustico, menta, uva passa schiacciata o prugne di Damasco e un po’ di miele. Per la preparazione si dovevano prima mescolare del vino di mirto, aceto, olio e garum. Dopo averli riscaldati, si lavorava il composto con sedano e santoreggia e vi si aggiungevano gli altri ingredienti. La salsa in elixam et copadia era invece pensata per essere abbinata alle carni lesse o alle copadia, un termine derivante dal greco kopadion che indicava genericamente un piatto a base di pezzetti di carne. Per prepararla servivano pepe, ligustico, origano, ruta, silfio (oggi scomparso, era una specie di finocchio gigante alto circa 2 metri, formato da una grossa radice tubercolare da cui si estraeva il ligustico e da un lungo tronco quadrangolare con steli secondari e foglie nonché da piccoli fiori distali alla sommità, a forma di palla o di ombrello. I frutti, a forma a cuore, maturavano a fine primavera e venivano dispersi dal vento), cipolla secca, vino, vino dolce cotto, miele, aceto e un po’ di olio. Invece per la cacciagione sia lessa che arrosto come il cervo o il camoscio, Apicio propone salse specifiche sia calde che acide mentre per le carni di maiale le salse utilizzate erano generalmente fredde. Per il pesce arrostito la salsa variava a seconda del tipo (sarde, triglie etc.) mentre quella detta diabotanon era utilizzata per il pesce fritto ed era realizzata con pepe, cumino, coriandolo, radice di laser, origano, ruta. Per il pesce lesso, la salsa chiamata “alessandrina” era la più ricercata e realizzata con pepe, cipolla secca, ligustico, cumino, origano, seme di sedano, prugne di Damasco, vino mielato, aceto, garum, mosto cotto, olio. Per ostriche e conchiglie, la salsa più apprezzata era quella di cumino composta da pepe, ligustico, prezzemolo, menta secca, foglie di nardo, cannella, cumino, miele, aceto e garum. Concludiamo questa rassegna con la salsa “acida” che al dire di Apicio era molto utile per far digerire piatti molto pesanti e che di certo dopo tante prelibatezze immaginiamo fosse la più utilizzata sulla tavola dei ricchi ghiottoni romani: la oxygarum digestibile era realizzata con pepe, ligustico, cardamomo, cumino, foglie di nardo, menta secca. Dopo aver pestato tutto con il mortaio e seccato, si doveva mescolare a miele, garum e aceto. Oggi, come duemila anni fa, anche noi siamo alla ricerca di accostamenti sempre più azzardati che stupiscano il nostro palato e la nostra cucina a questo fine si serve di tante varianti di salse dagli esotici profumi e dagli insoliti sapori, proprio come i facoltosi buongustai romani descritti da Apicio.