Tra crisi e crescita
Sebbene detenga ancora una posizione di leader a livello mondiale nelle esportazioni, la Cina sta attraversando una grossa crisi economica, ed il mercato interno è al minimo storico e nonostante offra ancora diverse interessanti opportunità, molti investitori preferiscono impiegare i propri fondi in altri mercati. È collettivamente riconosciuto il ruolo trainante che il settore automotive rappresenta per il futuro dell’economia cinese, importante quanto, se non più, del settore dei componenti e dispositivi elettronici made in China. Sebbene entrambi i settori siano ancora di importanza primaria e con molta probabilità continueranno a registrare tassi di crescita stabili, sono entrambi mercati altamente saturi, dove la concorrenza è feroce. In questo contesto, è in ascesa un mercato relativamente nuovo, con tutte le carte in regola per diventare un’importante fonte di reddito per il Paese, nonché una grande opportunità per aziende locali ed internazionali. La crescente attenzione per uno stile di vita sano ha spinto la Cina a diventare un importante acquirente di prodotti coltivati in maniera organica, un settore di nicchia, ma con un immenso potenziale di crescita. Essendo una delle civiltà più antiche al mondo, la Cina ha una lunghissima tradizione indigena, con una profonda conoscenza di pratiche agricole, sfortunatamente cadute in disuso o accantonate durante la cosiddetta “Rivoluzione Verde” iniziata negli anni ’70, quando il rapido sviluppo del Paese ha richiesto un aumento intensivo della produzione agricola. Obbiettivo raggiungibile solamente tramite la meccanizzazione dei processi produttivi, il “miglioramento genetico” delle specie, e l’utilizzo estensivo di prodotti agrochimici. Tutte pratiche che hanno fatto avanzare la Cina alla posizione di leader mondiale nell’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi. Già a partire dagli anni ‘90 il SEPA, ente precursore dell’attuale Ministero per la Protezione Ambientale ed Ecologia, divenne il principale sostenitore di un’agricoltura che abbracciasse valori più naturali, soprattutto per ridurre l’enorme impatto ambientale, il degrado del suolo ed i problemi di salute pubblica correlati ad un settore primario fuori controllo. Una posizione diametralmente opposta a quella del Ministero per l’Agricoltura (MoA, o MARA, come noto, oggi) la cui massima priorità era il raggiungimento della sicurezza alimentare, ovvero una produttività tale da sostenere una crescita economica senza precedenti. Posizione destinata a cambiare nel corso degli anni, a seguito peggioramento della crisi ecologica. Furono le prime aziende straniere ad operare in Cina ad introdurre un tipo di agricoltura più sostenibile, che rispettasse standard e regole accettate a livello internazionale, i cui frutti però erano principalmente orientati al mercato delle esportazioni, e fu proprio grazie all’aumentare di popolarità di questo tipo di prodotti nel mercato interno, che con la collaborazione con queste aziende, il SEPA riuscì a fondare l’OFDC, il primo ed unico ente certificatore Cinese in assoluto ad essere accreditato dalla Federazione Internazionale dei Movimenti Agricoli Biologici (IFOAM) e dall’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO). Ciò nonostante, prodotti biologici, erano tutt’altro che facili da trovare nel mercato, ed i consumatori Cinesi non avevano ancora familiarità con il concetto delle certificazioni. Come se non bastasse, il MoA, sostenuto dal governo, introdusse l’etichetta “Green Food” (绿色 食品), molto più permissiva in quanto a processi produttivi e regolamentazioni, rispetto a quella riconosciuta a livello internazionale, e che finiva per confondere la maggior parte dei consumatori. È stato solo nel 2005 che il governo ha iniziato a interessarsi al mercato del biologico, adottando diversi importanti provvedimenti con l’intenzione di regolamentare ed istituzionalizzare gli enti certificatori. Il SEPA fu tagliato fuori dai giochi, e fu stabilito che solamente il CNCA, un nuovo ente creato ad hoc, fosse autorizzato a rilasciare certificazioni in suolo cinese, rilasciando anche una nuova serie di regole e standard nazionali per le certificazioni biologiche. Questi nuovi standard includevano modifiche volte all’innalzamento della qualità dei processi produttivi e di trasformazione, senza tralasciare il controllo e la prevenzione delle malattie animali, la tipologia di detergenti e disinfettanti da utilizzare negli impianti produttivi e vennero aggiunti anche dei requisiti per i materiali di imballaggio. Criteri che assomigliano molto a quelli IFOAM, anche se Molti Paesi stentano ancora a riconoscere la Cina come un valido attore nel mercato internazionale. Ad esempio, per l’UE la Cina non figura ancora all’interno della “Lista di Paesi Terzi per la fornitura di Alimenti Biologici”. Obiettivo diventato ormai quasi un’ossessione per il Dragone, tanto da diventar oggetto di frizioni politico-commerciali, visto di tutta risposta la Cina ha limitato l’importazione di alimenti biologici dall’UE, richiedendo l’ottenimento di una certificazione rilasciata in Cina prima di essere messi sugli scaffali dei supermercati Cinesi. Ad oggi, il numero dei Produttori certificati di prodotti biologici risulta essere ancora minimo considerando l’estensione e la popolazione cinese, e la maggior parte di queste aziende affida parte del lavoro a subappaltatori. Ciò apre ad una serie di problematiche, come il monitoraggio della qualità, poiché non è scontato che tutti i subappaltatori ricevano un adeguata formazione, o come il problema della contaminazione da pesticidi utilizzati nelle vicinanze, in auge soprattutto nei sovraffollati territori della Cina orientale. Senza contare che ad oggi, le ispezioni vengono ancora fatte su base casuale, e con cadenza annua, anche per le aziende che prevedono periodi di raccolta multipli all’interno dello stesso anno. Più volte, nel corso degli ultimi anni, grossi attori del mercato si sono mossi in quest’area grigia, molto spesso venendo esposti a scandali che hanno danneggiato la reputazione dei propri marchi e prodotti. Episodi da cui, soprattutto con l’avvento dei social media, è difficile recuperare. La domanda per prodotti da agricoltura biologica è in costante aumento e la maggior parte dei consumatori è disposta a pagare un extra a fronte dell’ottenimento di prodotti di qualità, lavorati in modo controllato e privi di sostanze nocive, e nonostante il mercato sia ora in una fase più matura, l’offerta risulta carente. I consumatori faticano inoltre a fidarsi dei marchi e certificazioni Nazionali, ricercando prodotti importati che però scarseggiano. Ora, se pensiamo al fatto che la Cina è uno dei maggiori consumatori di prodotti agricoli al mondo, possiamo benissimo intravedere che le possibilità di crescita per questo mercato sono pressoché illimitate. Serve però che il governo intervenga, facilitando le importazioni, o con campagne di sensibilizzazione volte ad aumentare la fiducia verso i prodotti locali. Chissà che queste mosse non possano rappresentare un rilancio per il mercato interno del Paese. La possibilità è concreta, ma solo il tempo potrà dire se l’agricoltura biologica potrà rappresentare uno dei pilastri economici della Cina del futuro.