Amo i “piattini” dell’aperitivo, ma a volte sono zeppi di roba scadente e che viene riproposta dopo che è rimasta a lungo esposta nella vetrinetta del bar. C’è, tuttavia, una cosa che trovo perfetta per il momento dell’aperitivo: le olive. Prendere l’aperitivo, soprattutto d’estate: prima di cena con gli amici ordini un bicchiere di vino, un pre-dinner, un Campari, una birretta in attesa che arrivi il momento di andare a tavola, deve essere un piacere. A quell’ora, complice il bere, viene voglia di qualcosa da spiluccare ma non ci si vuole rovinare l’appetito. Dunque, bandito il “piattino”, spesso ci si dirige verso noccioline o patatine. A parer mio trovo le noccioline sono una specie di droga alla quale non si riesce a resistere; quanto alle patatine, generalmente sono fritte e lasciano quella fastidiosa patina sulla lingua (per non parlare di quelle con gli aromi). Le olive, invece, sono perfette. Taggiasche. Pugliesi. Calabresi. Greche. Nere. Verdi. Piccole. Grandi. In salamoia. Condite. Col nocciolo. Denocciolate. Vanno tutte bene, sono il perfetto punto di contatto tra dolce, amaro, acido, grasso e salato per accompagnare un buon bicchiere di bianco ben freddo, un drink o altro. Una tira l’altra come le noccioline ma invece di invadere la bocca di quel sapore oleoso e riempire le gengive di detriti, lasciano il palato pulito, anzi, stimolano l’appetito. Nelle vecchie osterie in Liguria il barista serviva “un gottu de giancu” (un bicchiere di Pigato) con una ciotola di Taggiasche in salamoia. Ed è proprio questo l’aperitivo perfetto: olive e niente più!
Mentre spopolano i cocktail a base di uova e insetti, c’è chi riscopre i classici, come il Dirty Martini creato dal trentaduesimo Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, al quale si riporta la paternità dell’oliva verde nei cocktail. Pochi ricordano però la funzione dell’oliva e soprattutto che non dovrebbe essere mangiata. C’è chi propone gli healthy drink per vegani con acqua di cottura dei ceci shakerata al posto dell’albume e le nuove toniche made in Italy. Altri provano a stupire con il food pairing che accosta anche i funghi nei cocktail a base di vino. Mentre si sperimentano nuovi accostamenti, c’è chi preferisce un ritorno alla tradizione, con i classici Martini che, immancabilmente, vanno accompagnati da un’oliva verde. L’oliva, dai neofiti, viene considerata una semplice decorazione e invece pochi sanno che conferisce una particolare aromaticità, sposandosi in modo esemplare soprattutto con liquori come Gin e Vermouth. Il perfetto accostamento è dovuto alla carica iodata caratteristica dei Vermouth utilizzati per i cocktail Martini, con cui le olive verdi in salamoia creano un piacevole accostamento. Le caratteristiche che deve avere un’oliva per poter esaltare al meglio il gusto di un cocktail, sono di essere molto grande, con elevato fattore polpa/nocciolo, avere un gusto deciso ed essere conservata in salamoia. Molte sono le combinazioni di liquori con i quali le olive verdi si sposano ottimamente, a cominciare dalla classica ricetta del “Martini Dry”, il “Pre dinner” per eccellenza che, assieme al suo tipico bicchiere, prese piede durante il Proibizionismo, rappresentando il nuovo volto di un’America che cambiava velocemente, nella quale si godeva di maggiore libertà e in un momento in cui venivano aperte le porte dei locali notturni a tutti, uomini e donne di qualsiasi etnia e razza. Pochi sanno che il “Martini Dry” non prevede l’oliva nel bicchiere, ma va servita a parte. Il “Martini Dry”, infatti, deriva dal cocktail Martinez, un miscelato mitico della corsa all’oro americana, 1850, uno dei primi cocktail ad unire vermut e gin. E non prevedeva l’oliva. Si compone di 1,5 cl di Vermouth Dry, 5,5 cl di London Dry Gin, 1 spruzzo di salamoia e un’oliva verde di guarnizione. Dopo aver mixato il tutto, lo si versa in una coppa cocktail ben fredda, aggiungendo l’oliva come tocco finale e una zest di limone. Esiste anche la versione con vodka in sostituzione del gin, il cocktail richiesto dall’agente segreto 007 nei suoi film. Anche in questo caso il vero cocktail di James Bond si chiama Vesper Martini. Quest’ultimo è un grandissimo cocktail, una variante del cocktail Martini inventata dallo scrittore Ian Fleming nel romanzo Casino Royal del 1953, dove il mitico James Bond vuole un Martini cocktail “shaken, not stirred” che tradotto significa “agitato e non mescolato”. E così dalla penna di questo grande scrittore è nato il cocktail di James Bond. Drink che scandalizzò ai tempi, visto che andava a dissacrare un mostro sacro come il Martini, non tanto per l’aggiunta di vodka, ma proprio per il fatto che il cocktail doveva essere agitato, un twist impensabile ai tempi. E proprio questa è la grande differenza che lo rende unico e inimitabile e così diverso dal padre. Ma apriamo subito una partentesi molto importante sul cocktail di James Bond, soprattutto sugli ingredienti del Vesper originale, su cui verte un dibattito molto acceso. Gin, vodka e Kina Lillet, un vermut francese aromatizzato al chinino, che conferiva una marcata nota amarognola. Bene, oggi la Lillet non produce più questo vermut, per cui nella ricetta ufficiale si suole usare il Lillet Blond, un vermut profumatissimo che è tutto il contrario dell’originale, fin troppo dolce per essere un vermut dry. Il vero Vesper Martini di James Bond è un cocktail molto difficile da riprodurre, bisognerebbe usare essenza di chinino in gocce e dosarle, non prima di aver fatto qualche prova per trovare il giusto equilibrio. Ecco come è composto: 6 cl di gin; 1,5 cl di vodka; 0,75 di Lillet Blonde o del vostro vermut dry preferito; scorza di limone. Torniamo a noi, a parte questo, le altre due grandi particolarità del Vesper rispetto al Martini sono l’aggiunta della vodka e il fatto che sia shakerato, processo che lo rende più leggero, fresco e agile. Certo un amante die hard del Martini guarda al Vesper con sospetto e vi dirà che è un Martini annacquato, e in parte ha ragione, perché agitando violentemente gli ingredienti nel ghiaccio il grado alcolico si abbassa e il cocktail si allunga, ma ciò non toglie che la piacevolezza del Vesper sia unica. Tuttavia, la regina dell’aperitivo resta l’oliva, con la coppetta di Martini Cocktail al suo fianco. Perché l’aperitivo dovrebbe restare tale, per mettere appetito e non toglierlo, invitando a passare al tavolo per affrontare un pranzo o una cena con una giusta fame e non con un inizio di acidità di stomaco, che tra l’altro l’oliva combatte.
Ha un alto contenuto di polifenoli, che le danno il caratteristico sapore amaro, almeno all’origine. Poi, per destinarla al consumo, sia nera che verde, a seconda della varietà e al grado di maturazione, subirà un trattamento che normalmente sarà la salamoia, con acqua, sale, aceto e spezie di ogni genere, ma anche schiacciata o ripassata in forno prende caratteri distinti, ben riconoscibili. Da non dimenticare le olive all’ascolana che sono un finger food semplice e sfizioso, rappresentativo della città di Ascoli Piceno, dove la ricetta ha avuto origine, diffondendosi poi pian piano in tutto il territorio nazionale. Le olive all’ascolana sono una preparazione tipicamente marchigiana e un piatto piuttosto semplice da preparare. Si tratta, infatti, di olive verdi, di dimensioni piuttosto grandi, denocciolate e poi farcite con un preparato a base di carne macinata, suino, pollo e manzo, aromatizzato e compattato per formare delle piccole polpette che dovranno essere inserite nell’oliva, in sostituzione del nocciolo. Le olive vengono poi impanate e fritte
fino a doratura.