Credo che abbiamo ormai capito che spremendo un acino d’uva il succo che uscirà sarà di colore bianco a prescindere dal colore dell’uva. La permanenza, in fase fermentativa, delle bucce nel mosto determina quindi in maniera sostanziale il colore del vino. La buccia, protagonista della vinificazione in rosso, ma non solo, è divisa in tre parti. Quella esterna è chiamata pruina e serve a proteggere l’acino dagli agenti atmosferici ed è ricca di sterolo che favorisce la crescita dei lieviti indigeni. Gli strati più interni sono costituiti dai polifenoli, sostanze coloranti e tannini che proteggono l’acino dai parassiti che danno al vino sentori amarognoli e astringenza. Tra i polifenoli ci sono gli antociani, responsabili della tonalità di colore che avrà il vino. Di natura sono sensibili all’ossigeno, per cui il vino rosso perde colore nel tempo virando da rosso rubino ad aranciato mattone, questa fase è supportata dai tannini che rimangono a protezione degli antociani per diversi anni. L’ultimo strato è la polpa che è costituita per la maggior parte da acqua, poi da zuccheri, acidi, minerali e vitamine. Queste sostanze presenti nella buccia vengono estratte durante la macerazione. Durante questa fase l’azione dell’anidride carbonica dovuta alla fermentazione spinge le bucce in superficie, formando così il cosiddetto cappello. Questo rappresenta per così dire un problema perché le bucce non essendo più completamente immerse nel liquido sono esposte a batteri acetici ed ossigeno. Si interviene con diversi metodi; con la follatura in cui il cappello viene rotto automaticamente o manualmente, col rimontaggio ovvero con l’azione di una pompa che preleva il mosto dal basso della vasca e lo spara sul cappello; metodo del cappello sommerso in cui una specie di griglia costringe il cappello a restare sommerso; infine, i rotomaceratori, a mio parere molto invasivi, che sono costituiti da pale meccaniche all’interno della vasca che girando impediscono la formazione del cappello. La vinificazione in rosso avverrà grazie ad una sosta prolungata delle bucce sul mosto così da estrarre in maniera ottimale antociani e tannini. Se però il produttore, per motivi legati all’esposizione o al tipo di vigneto, al terroir, o ad altre scelte personali vuole ridurre i tempi di macerazione, otterrà vini rossi di pronta beva, sottili e non particolarmente di struttura. Ho spiegato in breve questo passaggio iniziale della vinificazione per introdurre il vino di oggi, un Montepulciano non usuale, atipico possiamo dire. Abituati a considerarlo un vitigno che genera vini di grande struttura e polpa, a volte muscolosi, animali, complessi, impegnativi a tavola e capaci di sorreggere anche piatti di carne molto strutturati. Parliamo dell’Amistà, un vino rosso dell’Azienda Ca’ Liptra a Cupramontana in Contrada San Michele
su pendii che si innalzano fino a 500 mt. Qui la campagna forma un anfiteatro naturale unico tra i Castelli di Jesi, non a caso considerato un Cru, una zona particolarmente vocata alla viticoltura. La vigna dell’Amistà ha un’esposizione ad ovest, ecco perché questo vino nasce da una macerazione di soli due giorni, fermentazione in acciaio a cappello sommerso. Il vino è veramente super gradevole, fresco e sottile, all’inizio un po’ chiuso e vegetale, ma dopo una mezz’ora sboccia in tutta la sua divertente dimensione di Montepulciano sui generis, coi suoi frutti rossi e fave di cacao, la sua sapidità e il suo colore scarico che sembra un grignolino d’altri tempi. Insomma, il risultato è un vino veramente gioviale e ben fatto da bere giovane, molto versatile negli abbinamenti a piatti non complessi anche a base di pesce che accolgono nella loro ricetta anche salse, magari di pomodoro come le cozze alla siciliana.
Il tempo è anche colore
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