Da quando qualche bene informato gli aveva sussurrato, alludendo e ammiccando, che forse sua madre non era stata quella santarella che voleva far credere e che avrebbe fatto bene a cercare di capire chi fosse veramente suo padre, lo scrittore aveva un sordo dolore dentro.
– Perché me l’è venuto a dire? Cosa ci ha guadagnato? È stata una cattiveria; ha voluto farmi del male perché è geloso dei miei successi? Era sicuramente una canagliata ma da quel giorno non aveva più avuto il coraggio di guardare negli occhi sua madre. E si era anche bloccato nella stesura nel romanzo storico che aveva in mente da tempo.
– Sei diventato strano, figlio mio. Che ti succede? C’è qualche contrattempo nella stampa del tuo ultimo?
Macché contrattempo: era un autore di successo, conosciuto, letto, stimato, lodato. Non faceva a tempo a finire un’opera che già gliela strappavano di mano, ancora fresca di inchiostro. Solo che, al pensiero che l’uomo a cui doveva il cognome non fosse il suo padre naturale, gli aveva fatto saltare tutti i meccanismi mentali. E il subdolo suggeritore gli aveva anche detto il nome del suo presunto vero padre.
– Lui? – si chiedeva, disperato.
“Lui? – si rodeva -, di cui mia madre parlava con rancore, definendolo un donnaiolo, un intellettuale da strapazzo. Com’è possibile che sia lui?”
– Non devo pensarci – si era rimproverato -; devo concentrarmi sul mio romanzo storico. Ci sto pensando da tanto, da troppo tempo. Con tutto quello che ho studiato…
Non doveva pensarci e, invece, come una mosca che senta il maltempo in arrivo, la mente ritornava sempre a quelle terribili confidenze.
“E se fosse vero?” si chiedeva. Era tormentato dai dubbi; aveva cominciato a chiudersi nella sala da toeletta per guardarsi allo specchio e confrontarsi col ritratto del seduttore di sua madre. Si controllava la forma del naso, le labbra, il mento e la fronte. Ma gli occhi, soprattutto gli occhi, adesso che il terribile sospetto gli era stato svelato, gli rivelavano che il delatore aveva detto la verità. Era figlio di un altro maschio, di quell’uomo che suo padre ufficiale gli raccontava di essere stato tanto cortese e premuroso verso sua madre ma che, poco dopo la sua nascita, era sparito dalla circolazione.
Guardava le carte, gli appunti e non sapeva decidersi a ripartire. Le energie che lo avevano sospinto fino a qualche giorno prima gli erano sparite.
– Possiamo servirla? – chiese il domestico che aveva bussato leggermente alla porta – avremmo portato qualcosa di leggero per rompere il digiuno.
Il vecchio Ermolao che stava con lui da tempo immemore, scostò la porta e posò sulla tavola un vassoio con un coperchio a campana. Come fu tolta la copertura, allo scrittore apparve un piatto di minestra di orzo, dove navigavano pezzi di prosciutto abbrustolito, schegge di gallina lessa, fagiolini e sottili strisce di carciofo.
– Che cos’è questa confusione? – chiese sospettoso il padrone.
– E’ un piatto per stare leggeri e per mangiare un po’ di tutto. Dopo, se vuole, c’è un po’ di frutta. Si fidi, signore, vedrà che le piacerà.
Ermolao scivolò fuori dalla stanza. Lo scrittore guardò la superficie immobile nel piatto fondo: per una coincidenza, due parti di pollo di erano messe come a racchiudere uno spicchio di spazio dove, sotto, si intravvedevano i chicchi d’orzo.
– Guarda – rifletté a voce alta -, mi sembra la costa del nostro lago.
D’improvviso gli apparve la veduta del lago di Como; sorrise al pensiero delle limpide mattine tra i monti e l’acqua e gli venne l’ispirazione. Si tirò addosso un paio di fogli, intinse la penna nel calamaio e vergò:
“Su quel ramo del lago di Como…”
Dalla mente di Alessandro Manzoni era sparito Giovanni Verri ed erano venute le parole per riprendere la stesura del romanzo “I promessi sposi”.