“Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?” Questi versi di Goethe, sono divenuti l’immagine stessa della nostalgia e, a rinfrancarci da questa tristezza, c’è Paolo Conte che, col suo “gelato al limon, vero limon..” canta della “sensualità delle vite disperate” e ci riporta alla vita d’oggi. E che il limone, come gli agrumi in genere, sia considerato un grande dono della natura, inaspettato e conosciuto solo con grande ritardo nell’orologio delle conoscenze umane, lo conferma il fatto che, in Sicilia, nessuno parla di agrumeti. Nessuno si dichiara proprietario di un agrumeto, tutti parlano di avere un “giardino”, perché è, questa, l’immagine della eleganza, della bellezza, della serenità, anche del gusto estetico ed artistico. Chi di noi non è rimasto colpito dalla bellezza dell’azzurro e del giallo nelle terrecotte invetriate di Luca della Robbia? In quelle Madonne azzurre che sono racchiuse da una ghirlanda di alloro intervallata dal giallo di limoni, solari nel loro colore, c’è la grande cultura del Rinascimento. E guardate il caso: gli agrumi nascono e vivono dove la terra è benigna, dove l’atmosfera è festosa, dove il profumo dei loro fiori, le zagare (cioè “le splendenti”), richiama il paradiso terrestre. Sono spicchi di sole, gli agrumi, che accendono le giornate fredde dell’inverno in quei giardini lussureggianti che gli Arabi ci hanno portato. Vennero dall’Oriente a ondate successive come pacifici invasori, questi alberi, e si impadronirono del mondo. Questi sempreverdi dall’aspetto raffinato, sono talmente perfetti da portare insieme foglie, fiori, frutti acerbi e frutti maturi contemporaneamente. Mostrano la circolarità del tempo, la ricorrenza eterna e rappresentano il simbolo dell’eterna giovinezza nel loro perpetuo rifiorire. “ Tutto in questi alberi incanta gli occhi, soddisfa l’odorato, eccita il gusto e nutre il lusso e le arti”, scriveva alla fine del ‘700 il Gallesio, facendo credere che fossero presenti da noi da molti secoli. Nulla di più falso: gli agrumi sono stati per millenni segregati nelle loro terre d’origine seguendo, molto lentamente, il cammino del sole dalla Persia alla Palestina mentre l’uomo scopriva, molto lentamente, le vere bontà di questi frutti che, per secoli, sono stati apprezzati solo per le loro virtù igieniche e curative. Crescevano allo stato spontaneo e selvatico in India, in Cina, in Malesia, in Giappone. Nelle valli dell’Indo hanno trovato tracce di agrumi, in scavi, databili a 2500 anni a.C. Da noi, nel Mediterraneo si affacciarono lentamente, prima il cedro e poi il limone, solo attorno al IV secolo a.C. ce ne parla il grande naturalista Teofrasto di Atene nella sua Storia delle Piante, chiamandoli il “pomo di Media” o “pomo di Persia” E vennero utilizzati, soprattutto, per motivi ornamentali, per la loro armonia delle forme, per abbellire giardini, per la fragranza delle loro foglie e fiori, ignorandone quasi totalmente il loro valore alimentare. Ma l’efficacia degli estratti aromatici, la capacità di profumare le stanze e le vesti, il valore del dono, se portati nei paesi al nord a delizia delle case dei ricchi, erano conosciute da sempre. Tuttavia il grande sviluppo nell’utilizzo lo si ha nell’età imperiale romana, quando ne parlano Trimalcione e Apicio che ne consiglia l’uso per togliere l’afrore del maiale. Se ne trova presenza, inaspettatamente, negli scavi effettuati nel 1951 a Pompei dove si rinvenne la “casa del frutteto” con numerose decorazioni parietali di limoni. Ma furono gli Arabi e le Crociate che diffusero da noi l’uso di questi agrumi che popoleranno i giardini. Ad Amalfi in una chiesetta vi è un affresco di quel periodo con un ramo con tre limoni e lo stemma della città di Amalfi viene simboleggiato da una donna con in mano un’arancia (così come lo è nella francese Orange). Inghiottito dalle tenebre barbariche, il limone viene completamente dimenticato finché, come dicevo, la conquista araba del Mediterraneo non lo fece ricomparire. Divenne un businnes per l’Andalusia, per la Sicilia e per gli Amalfitani che impiantarono “giardini” a tappeto nella loro costiera, in quei terrazzamenti sospesi fra cielo e mare. Ne nasce una specie di mito negli scrittori del Grand Tour, quelli che hanno illustrato le bellezze d’Italia fra il Seicento e la fine del Settecento, facendo dei colorati giardini di Sorrento, di Amalfi, della Conca d’Oro, l’immagine stessa della solarità Mediterranea. E che il limone sia una panacea universale, un gusto jolly, è facile da provare: dove trovate un frutto che è capace di guarire le malattie come lo scorbuto (era usatissimo dai marinai), di scolorire i capelli, di trasformarsi in liquore, dar freschezza ai cibi, ridurne l’annerimento della frutta, disinfettare le ferite, sfiammare la gola, “cuocere” i cibi a freddo con la marinatura, impreziosire dolci, fare marmellate? Dove trovate un prodotto che va bene, dalla maionese alla scaloppina, dal sorbetto alla torta? E’ talmente entrato nel parlare della gente che limonare al nord vuol dire pomiciare. E sembra che sia stata mutuata dalla vecchia abitudine dei rivenditori milanesi che vendevano i limoni due alla volta, due, proprio come i fidanzatini… Ed il limone è elemento di base di un liquore, il limoncello, che, purtroppo, non sempre è fatto con i limoni come vorrebbe la legge. Trionfa, in grandissima parte, l’aroma chimico e ne risulta un sapore da detersivo, più che da frutto…Insomma il limone lo si usa dappertutto e sempre con grande piacere. Anche sul fritto, di pesce o di carne? Qui la fettina di limone spremuta tende a vanificare il lavoro del cuoco nella ricerca di una cottura asciutta e croccante. Ma pochi cuochi sanno sottrarsi alle abitudini radicate e accompagnano il fritto con il limone… Io, con molta discrezione, lo sposto in un angolo del piatto e lo lascio lì…. Ma, de gustibus…