Laconico come sempre il Direttore: “Mandami 5000 battute sugli insaccati!”. Butto lì: “Ho un’idea carina sul prosciutto…”. Lui, tranchant: “In-sac-ca-ti!”. Giusto. Come un affresco non è un mosaico, così un prosciutto non è un insaccato. Sono entrambi “salumi”, cioè conservati per salagione, ma il primo è un pezzo anatomico intero mentre il secondo è un insieme di carni più o meno eterogenee ricomposte all’interno di un contenitore più o meno naturale. Combattuto dal dilemma se sproloquiare di “Soppressa Trevigiana” o di “Tarese del Valdarno”, opto per una modesta difesa della genesi d’entrambi e di molto altro ancora: il maiale. Tra gli animali che l’uomo sacrifica alla sua insaziabile fame, il porco vanta forse la più antica e vasta letteratura. Giulio Cesare Croce, l’autore del Bertoldo, scrisse nel 1594 “L’eccellenza e il trionfo del Porco”, edificante trattato in cui sosteneva che fra tutti gli animali domestici il maiale è il solo realmente unico e insostituibile. Tabù alimentari e prescrizioni religiose a parte, ci vuole grande impegno dialettico e una buona dose di falsità morale per dar contro al Croce e a quanti prima di lui (per millenni) e dopo di lui (per secoli ancora) hanno intrecciato e ancor più tesseranno l’elogio al Porco. Al cavallo è andato sostituendosi il treno e l’automobile, il bue ha ceduto il passo al trattore, i postini hanno mandato in pensione i piccioni viaggiatori e perfino i muli delle Armate Alpine hanno fatto armi e bagagli di fronte all’incalzare della tecnica; ma quale macchina, che diavoleria bio-tecnologica può esserci di soccorso per confezionare un ottimo culatello di Zibello, una sontuosa mortadella di Bologna, una coppia di provocanti Coglioni di mulo o un magistrale prosciutto di Sauris? Il porco, si sa, è come la musica di Verdi, dicono in Romagna: non si butta via niente… nemmeno il nome! Noi oggi, per offendere uno, gli diamo del porco. Tutto ciò che esiste di sgradevole e di disprezzabile lo assimiliamo al porco: porco mondo, porca miseria, non gettate perle ai porci. Bel modo di contraccambiare chi ci regala autentici gioielli come il culatello, il prosciutto, il salame, il cotechino, le costine, i ciccioli e altre innumerevoli cose, saporite e preziose. Ancora una volta l’ingratitudine umana non ha limiti. Tutti i nostri coccolamenti, le smancerie domestiche vanno al cane, al gatto, al canarino che, gastronomicamente parlando, diciamocelo francamente, non godono di grande considerazione. E allora giù: porca-miseria, mangi-come-unporco, brutto-porco, sei-una-vera-porca… Fino all’insulto più magniloquente: Troia! Che a dispetto di chi ne fa uso e abuso (per sopruso) è termine dotto, classico e per niente volgare. Si riferisce ad una ricetta della Roma precristiana ispirata al celebre cavallo imbottito di guerrieri lasciato dagli Achei sotto le mura di Troia alla fine di una certa guerra di 30 secoli fa. Il “porcus-troianus” veniva preparato cuocendo intero alla brace un maiale farcito con tordi, lepri, salsicce, regaglie e ventresche. Questo “maiale con sorpresa” – da cui deriva il termine italiano “troia” quale sinonimo di scrofa – era considerato dai romani una vera e propria prelibatezza, al punto che Petronio Arbitro nel suo Satyricon lo presenta come piattoforte durante la celebre cena di Trimalcione. Ma perché tanto astio, tanta cattiveria nei confronti del porco, suino, verro o maiale cheddirsivoglia e della sua gentile coniuge scrofa o troia? Il porco occupa una parte importantissima nella storia dell’alimentazione umana, dato che tutti i popoli antichi si cibarono di suini: assiri, cinesi, sumeri, egiziani, fenici… Eppure il maiale non a tutti è simpatico. La Bibbia ne parla così: “il Signore parlò a Mosè e ad Aronne: (…) per voi sarà impuro il porco poiché avendo lo zoccolo spaccato e l’unghia divisa, non è un ruminante”. Fedeli a questo precetto, gli ebrei osservanti hanno bandito la carne di maiale dalle loro tavole, guadagnando forse in purezza d’animo ma perdendo qualcosa in piacere. Sempre con motivazioni religiose la carne di maiale è proscritta ai musulmani che lo considerano impuro anche alla luce di considerazioni igienico-sanitarie. Comunque sia, rozzo, sozzo, analfabeta e anche un po’ mal visto, il nostro pingue amico ha origini che nemmeno sospettiamo. I Re nell’Antica Grecia (Ulisse incluso) erano appassionati allevatori di porci, e i nostri amici rosa e paffuti grugnivano nelle Corti più che nei cortili. L’origine mitologica del maiale lo vede araldo di Maia, dea della fecondità e del risveglio della natura. Era dunque un animale puro, sacrificale, una creatura così onesta e innocente che, per suo tramite, il cielo mandava messaggi agli uomini. A Enea una profezia disse che le sue peregrinazioni sarebbero terminate non appena avesse incontrato una scrofa. E così avvenne, sulle rive del Tevere dove esiste ancora una Via della Scrofa. E da lì cominciò la storia di Roma. I romani fecero del porco un monumento di golosità, ricercatezza e follia, arrivando a cibarsi solo dei genitali del porco e della di lui gentile signora appena sgravata: il resto veniva buttato letteralmente ai porci. La cosa non ci deve meravigliare; un uomo ricco, che voglia far parlare di se, commette delle sciocchezze enormi e dispendiose. Poi, nel Medioevo i simboli della religione pagana furono demonizzati, perfino Venere fu retrocessa a diavolessa, e il porco diventò una creatura negativa, metafora della lussuria. Vegetariani a parte (nessuno è perfetto!) gli Italiani non faticano a riconoscere che la tradizione gastronomica della nostra nazione – e non solo – deve almeno il cinquanta per cento delle proprie risorse di dispensa a questi paffuti e tranquilli mammiferi che la natura ha dotato di carni saporite, di succulenti grassi, di ghiotte frattaglie e di tante preziosissime cose di cui (serve ripeterlo?) nulla va perduto. Come potremmo vivere appagati senza insaccati, cotechini, salumi, speck, spuntature, capocolli, ‘nduie, mortadelle, zamponi, ammazzafegati e salsicce? Quanto sarebbe più malinconico il mondo se ci trovassimo improvvisamente orbi del prosciutto? E il culatello? Saggezza compensatrice di Madre Natura: la natica, l’estremità più impura del più immondo animale, si eleva all’empireo della gastronomia ed è osannato come il più prelibato tra i bocconi. Rimane l’incertezza se considerare il maiale come il più vituperato dei buoni o il più buono dei vituperati. Lui aborrito dall’Islam e dall’ebraismo come “intoccabile”, nella tradizione cattolica è addirittura elevato agli onori degli altari come inseparabile compagno di quel Sant’Antonio Abate che portiamo ad esempio di carità e amore per il prossimo. Il sacrificio supremo della morte è catartico per il maiale e sembra riscattarlo da tutte le colpe e le infamità che gli vengono scaricate addosso… Dalle mie parti, in Veneto, il maiale si chiama “porco” da vivo, e “porsèl” da defunto: cambia nome, come Romolo che, dopo morto, ascese in cielo e diventò Quirino. La morte lo fa Santo!