il-ghiaccio-di-sammy-bisson_ricettaUn anno prima. Piena estate del 1864. Samuel Johnson, dodici anni, nato negro per morire negro, si riparava dal sole cocente all’ombra dell’immensa casa padronale, in stile neoclassico, come tante altre in Georgia, stato impe
gnato nella guerra di secessione americana contro quelli del nord. Era pomeriggio inoltrato; il fresco della notte sarebbe arrivato molto più tardi. – Sammy, Sammy, – era la cameriera della padroncina. – A prendere il ghiaccio, subito! Samuel si mise a correre perché sapeva che se non avesse ubbidito immediatamente, sarebbero state cinghiate. Il ghiaccio era fatto in una baracca rudimentale che emetteva un pestifero fumo nero, a due chilometri di distanza. Il bambino ci arrivò ansante; legò con lo spago un parallelepipedo bianco e trasparente e si rimise sulla via del ritorno. Per i primi cinque minuti non sentì la fatica ma, a poco a poco, il cordino cominciò a segargli le dita. Spostò il carico all’altra mano ma il sollievo fu temporaneo. Era caldo, molto caldo e, nella fretta, aveva dimenticato il cappellino. I piedi nudi nel terreno sassoso iniziarono a sentire le asperità del terreno. Ma la sofferenza non era
il suo cruccio: era la paura che il prezioso carico si sciogliesse troppo, con conseguenti punizioni e privazioni. Per scacciare l’angoscia si mise a cantare tra sé un inno di lode che aveva imparato nella tettoia con quattro pezzi di lamiera, che era il luogo di culto per i neri. Quando consegnò il ghiaccio alla cameriera della signorina, aveva le dita blu e le labbra dure come la pietra. Corse a casa perché gli era venuto un groppo alla gola e non voleva farsi vedere piangere da quella negra come lui, che si sentiva superiore perché faceva la serva dentro la villa. Ritornò indietro dopo un po’, giusto in tempo per vedere il suo ghiaccio sciogliersi lentamente al sole, nel cortile posteriore della casa. Era stato buttato lì perché alla signorina era passata la voglia di una granita fredda. Meno di un anno dopo, Rossella O’Hara sarebbe stata testimone della fine della schiavitù.