Gli insaccati, di qualsiasi natura, salvano gli chef in cucina quando si trovano a dover accontentare le richieste dei clienti dell’ultimo minuto, quelli del presto fatto, del prêt- à-porter culinario. E’ sempre più frequente trovare nei frigoriferi delle cucine e nelle cantine, di ristorante e di albergo, diversi insaccati di qualità provenienti da molte province del nostro Bel Paese. “Un mondo di gusto dalle cento vesti” da preparare con “Affetto”. E’ mia intenzione giocare sul tema degli insaccati, partendo proprio dal titolo, perché è stato così che mi fu presentato, anni orsono, da uno chef eclettico che, pur parlando degli insaccati non ne citò mai il termine, una sorta di divagazione sul tema con parola proibita “insaccato”. Lo chef: “Di questi alimenti più o meno salati, a volte anche tendenti al dolce, dalle tonalità che variano dal rosa carico al rosso mattone, ne troviamo di tutte le fogge, spesso alcuni si assomigliano ma leggendo le etichette mi rendevo conto che provenivano da territori lontani tra loro. Mi è capitato di vederne grossi e stretti, prenderne tra le mani alcuni più o meno grandi, alcuni morbidi ma il più delle volte sempre duri; si assomigliavano, pur provenendo da oltre 400 km di distanza; i loro profumi erano inebrianti, caratteristici a tal punto che, fetta dopo fetta li avrei assaggiati tutti, crudi, cotti, freschi, stagionati. Insomma tutti, uno dopo l’altro, avrebbero fatto parte del mio mondo di piacere”. Sempre lo chef: “Ero incuriosito dalle forme, non sempre tutte cilindriche, il colore della pelle diverso, il rivestimento inusuale, variavano anche per tonalità e per ispessimento della loro buccia-pelle. Immaginavo che far correre la lama del mio coltello preferito, lunga 40 cm, con un abile “su e giù” e “avanti e indietro” sarebbe stato emozionante, di più lo era vedere cadere fetta dopo fetta sul tagliere o nel piatto, certo è che più di qualcuna, di tanto in tanto, si adagiava tra le mie labbra e quelle della persona più vicina a me in quel momento”. Continua lo chef: “Scoprivo di volta in volta che alcuni avevano la carne macinata, definiti freschi crudi e non stagionati, come le salsicce, che difficilmente tagliavo da crude preferendo consumarle intere, anche se la mia cuoca preferita le strappava con le mani per farle schizzare in padelle roventi”. Poi avevo tra le mani quelli crudi e poco stagionati come il salame da pentola, il cotechino, lo zampone, che pur essendo della stessa natura necessitavano di lunghe ore di cottura, e una volta pronti, erano amabilmente untuosi al mio palato, legandomi la lingua”. Lo chef ribadisce: “Poi, facile a dirsi, quelli crudi e stagionati, si sdraiavano sul tagliere ed io ero pronto ad affettarli a mano, mentre in macchina (quella manuale la preferivo) affettavo i cotti molto grossi, come le diverse mortadelle ma anche i big-würstel e la profumata coppa di testa. Il vassoio della macchina affettatrice accoglieva poi, fetta dopo fetta, anche il profumo di fumo che era espressione di quelli più grossi e più duri, larghi, stretti e lunghi, essi lasciavano un aroma di fumo tale che ne venivo inebriato”. Il tono dello chef cambia: “Se dovessi ora parlare del “fuori” ricordo che il rivestimento può essere di origine animale o alternativo, e su questo voglio spiegarmi meglio. Quelli naturali devono essere organi cavi o parti di essi, per esempio l’intestino tenue o quello crasso, lo stomaco, la vescica e la cotenna. Non pensare e non credere che “il dentro e il fuori” sia dello stesso animale, anzi bisogna sempre rapportare l’età dell’animale del “dentro” con quella dell’animale del “fuori”. Per spiegare meglio questo concetto, ti ricordo che se li vuoi fare lunghi freschi e lunghi seccati, devi usare l’intestino tenue e crasso del vitello, del cavallo, del maiale di giovane età. Se poi vuoi forme un po’ più grosse e larghe devi preferire la vescica come per la “Ventricina” o la Salama ferrarese e il Culatello. Sempre del fuori, ti dico che ottima è la cotenna per lo zampone. Tutte queste strutture saranno non solo svuotate ma anche “de-mucosate”, poi lavate bene, sgrassate e anche sanificate, per alcuni anche la salatura e l’asciugatura viene impiegata”. Lo chef si congedò cosi: “Il fuori alternativo oggi fa strada, si tratta del budello di cellulosa, quello di collagene e quello collato. Il primo solitamente è di origine vegetale, ma non naturale, questo non è assolutamente edule. Il secondo è buono e adatto per quello che deve essere cotto perché si ricava da lavorazioni miste di ossi e pelle di animale. L’ultimo, il collato, è ricostruzione di intestini sovrapposti ed incollati, questo assomiglia molto al budello di animale. Poi c’è un altro fuori alternativo che è sintetico puro, adatto per quelli cotti, ma non è edibile. Ecco, ho fatto il mio approfondimento sugli insaccati, che mi avevi chiesto, non ho usato quella parola perché: “c’eri tu che ascoltavi come un buon salame”.