Riflettiamoci: la parola carciofo non brilla in quanto ad eleganza. Ha un suono duro come la tosse e goffo come un ippopotamo. Sicuramente indegno per la più femminile delle verdure. Mentre cetriolo, asparago e porro esibiscono ai quattro venti le turgide virilità, il carciofo copre la sua intimità sotto aculei e sottane, merletti e corazze, obbligando chi voglia accedere al suo cuore carnoso – quella parte burrosa e morbida che i francesi chiamano cul – a spogliarlo di ogni guscio ed orpello, ad uno ad uno, dolcemente e senza fretta. Donne e carciofi esigono tempo e pazienza prima di regalarti qualcosa. Femminile fin dal nome scientifico: Cynara scolimus. Lo ammetto, scolimus (pungiglione in greco) è forse più inelegante di “carciofo”, ma Cynara è il nome di una fanciulla greca dai capelli color cenere che rifiutando le avances amorose del dio Apollo si ritrovò trasformata in un fiore spinoso e inaccessibile. Per quanto suoni male, “carciofo” è preso di peso dall’arabo Al kharshuf (cardo spinoso) e prima ancora dal persiano al(r)d’ishuk (terrigno e spinoso). La parola araba restò femminile (alcachofa) in spagnolo e in napoletano (scarcioffola) ma assunse inspiegabili connotazioni mascoline nel “articiocco” del lombardo-veneto, nel “artichaut” francese, e nel “artichoke” inglese. Il cardo spinoso da cui inizia l’inconsapevole transessualità del carciofo, cresceva selvatico sulle rive del Mediterraneo trentamila anni fa. Con i suoi fiori azzurro violacei i pastori (ricordate il gigante Polifemo?) cagliavano il latte e lo trasformavano in formaggio. Poi di generazione in generazione il bel cardo perse la spina aggressiva sulle brattee, ingrossò il bottone floreale e il vassoio andò aumentando man mano di spessore, convertendosi nel celebre “cuore di carciofo”. O cul. Questo avvenne perchè generazioni di giardinieri e ortolani si preoccuparono di eliminare le piante più piccole e pungenti concentrandosi solo su quelle che avevano meno spine e fiori più grandi. L’evoluzione naturale del cardo selvatico ha invece dato origine ad altre piante con apparato fogliare molto sviluppato, gli odierni cardi-eduli, le cui nervature si sono inspessite fino alla nota consistenza carnosa. Botanicamente i carciofi (e dunque anche i cardi) appartengono alla famiglia delle margherite (femminili) e dal punto di vista anatomico il fondo del carciofo (o cul) corrisponde al falso frutto della fragola (signora) e del fico (che i napoletani declinano al femminile). Il carciofo è l’unico vero fiore che viene consumato da solo, o meglio, se ne consuma la base (cioè l’estensione del gambo) e la parte più tenera e vicina al gambo delle foglie circostanti. Lo troviamo nelle ceste dei fruttivendoli già da novembre (il Sardo spinoso e le varietà precoci) ma ha il momento di massima presenza sul mercato da gennaio a marzo (tondo-romanesco, carciofo di Castellamare, Pugliese e Chioggiotto). Considerando le varietà tardive, come le “Castraùre di S.Erasmo”, i ghiottoni e i buongustai possono approfittare delle diverse sfumature di gusto e consistenza dei carciofi italiani per circa sei mesi l’anno. Chi di carciofi è ghiotto, come me, esige il meglio. Li guarda, li soppesa, li palpa. Li immagina già lessi, fritti, brasati, crudi a lamelle, sopra al formaggio, sotto l’olio di Albenga o di Corato. Li scrocchia con delicatezza nel pugno e li ascolta mandar gemiti all’orecchio, con lo stesso udito che gli esperti usano per giudicare se un sigaro havana è stato arrotolato con amore sulle cosce delle sigaraie cubane. Li si può consumare tali e quali, bolliti, al forno, ripieni, in umido, fritti, saltati in padella, cotti sotto la cenere; si possono unire ad altre verdure in risotti, paste, minestre; se ne possono fare torte, timballi, soufflées, o li si cuoce insieme a pesce o carne. Del carciofo si può anche usare il solo fondo (la parte più ambita, il cul…): polposo come una braciola e dolce come una mela cotta. Superba la purea di fondi di carciofo di Chioggia lessati, passati al burro in tegame e montati a caldo con generose cucchiaiate di burro ammorbidito. Checchè ne dicano i francesi o i californiani, poche varietà al mondo reggono il confronto con il “romanesco”, globoso e sontuoso, prepotentemente imperiale quando si tratti di un vero “cimarolo”. Per l’uso a crudo, le mie preferenze vanno allo spinoso sardo o alle “castraure” della laguna veneta (meravigliose in pinzimonio). Anche i toscani violetti si lasciano sgranocchiare senza tante moine, crudi con un po’ di sale e un filo di olio extravergine di oliva del Garda. E in frittura eccellono quelli di Puglia, dalla vita sfiancata come quella di un colonnello del regio esercito. Comunque lo si legga e lo si scriva, sotto qualsiasi punto di vista lo si rimiri o lo si rigiri, il carciofo è sempre saporito e divertente, ricco di vitamine, povero di calorie, diuretico e molte altre cose ancora. Ha una marcia in più, come la donna. Bella alcachofa!

Sergio G. Grasso