La tracciabilità delle imposte è l’unica soluzione

Ricordo con un po’ di nostalgia i tempi in cui ci si poteva dedicare più a vendere e a produrre, che non a scartoffie d’ufficio. Le uniche pratiche un po’ laboriose, oltre ai cedolini paga, dei quali peraltro si occupava il commercialista, erano, ogni tanto, le pratiche edilizie (sia chiaro, poca cosa rispetto agli attuali 36 adempimenti necessari prima di fare un ampliamento del capannone!). L’azienda era già sostituto d’imposta per le ritenute ai dipendenti, per il meccanismo dell’iva sul valore aggiunto, per le ritenute dei professionisti, ma quelle cose, tutte evitabili oggi che tutto passa per la banca (ma che ancora facciamo), erano comunque sopportabili, anche perché, all’epoca, gli adempimenti avevano regole che non cambiavano, come succede oggi, almeno un paio di volte ciascuna per ogni legislatura. Da allora un continuum, che dura da 40 anni, di adempimenti, firme responsabilità in capo all’azienda e quindi all’amministratore! Non sono in grado nemmeno quest’anno di sapere se una spesa per il ristorante è detraibile o meno, o se le spese di una vettura possono essere detraibili, anche perché, nel frattempo che questo mio articolo va in stampa, magari le regole potrebbero cambiare nuovamente. Tuttavia, mentre questi sono adempimenti che, al limite, in caso di errore, ci fanno rischiare solamente un provvedimento amministrativo, il famigerato obbligo del Mud (rifiuti) e del DVR (sicurezza), non mi fanno dormire la notte, perché in caso di errore, è meglio piuttosto schiantarsi sugli scogli del Giglio con un transatlantico. Il primo posto fra le cose più assurde, sicuramente lo occupa il ventennio di rinvii e rivisitazioni della normativa sulla privacy, tanto più che, se fosse per me, uno che non paga lo scriverei sulle strade per tutelare gli altri onesti come noi che pur-troppo subiscono bidonate da tutelati truffatori. Pensate a quanti modellini abbiamo firmato per la liberatoria sulla privacy a fornitori, banche, committenti, ecc…: è impossibile lavorare, essere curati o avere assistenza sanitaria in genere e avere un conto in banca, senza rinunciare alla propria privacy. Oggi, ci obbligano ad avere un conto in banca, pena tornare al baratto, e per averlo si firma la liberatoria sulla privacy. Insomma, la tutela della privacy può permettersela solamente chi vive di soldi illeciti. Confido negli ultimi sviluppi normativi per un miglioramento sensibile. Al secondo posto per demenza, un altro obbligo che ritroviamo fra le decine di firme che dobbiamo mettere per aprire un conto corrente. La dichiarazione del titolare effettivo servirebbe per “tracciare” chi sia realmente il titolare quando vi sia una “testa di legno”. Sarà vero che il titolare effettivo non sempre corrisponde al titolare della quota di maggioranza, altrimenti la legge non avrebbe il senso che ha. Ebbene, le banche ti fanno firmare una carta precompilata da loro, sui dati della visura camerale, dove si dichiara che il titolare effettivo è quello che ha la quota maggiore della proprietà. Come se il fisco non potesse farsi una visura camerale! Ma veniamo alle carte ben più serie: le tracciabilità. La prima tracciabilità (cosa blanda all’epoca) era legata alle dichiarazioni doganali, ai “Visto uscire’’, ai Certificati di Origine, all’eur , etc…. Poi si sono aggiunte le matricole e l’etichettatura della filiera. Una certa tracciabilità vi è anche sui Raee, sul Conai e su altri consorzi facoltativi. Sistri se ne parla ancora? O altro adempimento in sovrapposizione alla compilazione del Mud? Adesso va molto di moda parlare di tracciabilità di pagamenti e del controllo dei conti conenti. Cose utili alle quali io sono favorevole, almeno dal lato della raccolta erariale tutto diventa più trasparente. Ma poi occorre vigilare sul lato opposto: che i danari raccolti vengano ben spesi. Sono scettico invece sul detto che “se tutti pagano le tasse ne pagheremmo tutti meno”, perché anche quando gli interessi erano alti si diceva che le tasse non potevano essere abbassate perché il bilancio dello Stato era appesantito dai troppi interessi passivi! Invece, penso, di tutte queste tracciabilità, perché non cominciamo a esigere la tracciabilità delle imposte? Ci renderemmo conto che paghiamo imposte per eventi ormai appartenenti a due generazioni fa, imposte di bollo e di vidimazione che non hanno più senso, imposte sulle imposte. Scopriremmo che, innumerevoli concessionari (privati), fanno vere e proprie fortune con i servizi di tesoreria, esattoria, e intermediazioni varie (es: agenti di riscossione delle imposte sulla pubblicità attivati dai Comuni, tabacchini, banche in primis!). O non si può sapere nulla perché questi soggetti sono tutelati dalla  legge sulla privacy?

Nicola Marzaro