Verdi o violetti, con o senza spine è tempo di carciofi e ne avremo ancora per qualche mese. I gastronomi gioiscono per le possibilità che questa pianta, spinosa (il termine latino ́F\QDUDμ deriva dal greco che, appunto, vuol dire “spinoso”), permette in cucina, dal pinzimonio al fritto, dalle creme alle frittate. Così da ottobre a giugno il carciofo ci accompagna. Se usiamo i termini botanici dobbiamo dire che questo cardo in origine selvatico, divenuto poi carciofo, a suon di pazienti selezioni ed incroci, nei secoli, è caratterizzato da fusti sotterranei, simili a radici, dalle cui gemme hanno origine i carducci, che si sviluppano in steli robusti, fino ad un metro e mezzo. In posizione terminale ai fusti si formano i capolini. Quando sono allo stato immaturo, prima cioè che sboccino i fiori di color azzurro-violaceo i capolini sono la parte commestibile di questa pianta. E la terminologia, a noi estranea, continua: la peluria che si trova all’interno si chiama ́”pappo”e quelle che noi chiamiamo foglie sono invece “brattee”. È una raccolta scalare quella che si fa e va da fine ottobre a fine maggio: molte piante sono rifiorenti. Ci sono oltre 90 specie di carciofi coltivate nel mondo. In Italia la coltivazione, in origine si è spostata dal Napoletano verso la Toscana. Richiede infatti clima mite, buona disponibilità idrica ma senza ristagni, terreni sciolti. Da noi trova terreno ideale nelle isole S.Erasmo, Vignole e Mazzorbo (famose sono le “castraure” di S.Erasmo) ed a Chioggia. I principali sono il violetto di Toscana, lo spinoso di Palermo, quello sardo ed il Romanesco. Il nome deriva dall’etimo arabo-spagnolo harsufa, divenuto in spagnolo alcachofa, ed era già presente nel veneziano già dal 1500 è stato amato in modo impressionante da Caterina De’ Medici: le cronache dell’epoca riferiscono di come, golosissima, nel 1575 in occasione di un pranzo di nozze, ne mangiò oltre 45 tanto da rischiare di morire d’indigestione! Era pianta che, caduta nel dimenticatoio del buio Medioevo, era tornata solo nel ‘500 ad essere una verdura di lusso. E come tutti i prodotti non comuni, difficili da trovare, fu ritenuto fortemente eccitante ed afrodisiaco. Ma non tutti erano amanti del carciofo come Caterina: l’Ariosto scrive che “ durezza, spine et amaritudine molto più vi trovi che boutade” 

Prodotto che ha vastissimi usi in cucina, lo si può mangiare crudo, bollito, in forno, ripieno, in umido, fritto, trifolato, lo si può usare come base per risotti, lo si fa sott’olio in antipasti saporiti. Un modo universalmente conosciuto è quello dei carciofi “alla giudia”, fritti in abbondante olio e così chiamati perché cucinati abitudinariamente in quel “quartiere”. È una verdura che ha uno scarto altissimo: oltre il 65% del carciofo non viene utilizzato Lo si conserva per diversi giorni se lo si mette in acqua, con tutto il gambo, come fosse un fiore. In frigo è bene avvolgerlo in un panno umido. Tende ad annerire e perciò è bene immergerlo, fin che non entra nella padella, in acqua acidulata (le industrie, per mantenerlo bianco, aggiungono vitamina C all’acqua di prebollitura). Problema serio è accostare un vino al carciofo: la presenza di cinarina, di ferro, di acido folico e potassio rendono il vino non perfetto, ne alterano il sapore. Cosa bisogna fare, allora: forse bere acqua? Giammai: meglio soffrire con un bianco ed andare avanti. Se poi lo si accompagna come contorno alle carni (pensate alla bontà di un abbacchio romanesco con contorno di carciofi) un rosso sarà perfetto!

Alfredo Pelle