Il problema della frutta come la ciliegia è quello di una vita commerciale piuttosto breve, con conseguenti problemi di distribuzione. La reperibilità sul mercato può inoltre essere fortemente condizionata da eventi come siccità o altre avversità atmosferiche, insetti alieni o altre malattie fungine. In queste condizioni diventa più che mai necessario considerare la trasformazione di ciò che non viene immesso nella rete commerciale come prodotto fresco (1° gamma) in succhi, conserve o… Seguendo le indicazioni della nonna (o della bisnonna ormai, perché tempus fugit), la soluzione è cuocere la frutta con l’aggiunta di zucchero, portarla a gelificazione adeguata ottenendo una confettura, lasciando dal punto di vista normativo la dicitura “marmellata” ad una gelificazione adeguata di soli agrumi [DPR 8 giugno 1982, n.401]. Le cose potrebbero però presto cambiare, in quanto la Commissione Europea, nell’ambito di una revisione generale delle norme di commercializzazione dei prodotti agricoli, intende estendere il termine “marmellata” a tutte le confetture, in modo da adeguare il nome del prodotto a quello più utilizzato a livello locale. Tra queste proposte spicca anche l’obiettivo di portare il contenuto minimo di frutta da 350 a 450g /kg di prodotto finito (da 450 a 550g per i prodotti “extra”). Qualcuno legge tale decisione come un sistema per ridurre il consumo di zuccheri semplici. Sarà proprio così? La regola per ottenere un prodotto sicuro, che non rappresenti un terreno di coltura idoneo per microrganismi dannosi o, peggio, patogeni e/o tossigeni consiste nel raggiungere un valore di aw (attività dell’acqua, o quantità di acqua libera e disponibile per lo sviluppo microbico) inferiore a 0,86 (corrispondente a circa un 65% di zuccheri, quelli della frutta + quelli aggiunti), traducibili in 65°Brix misurabili con un rifrattometro. In realtà questo valore di aw può anche essere più elevato se in contemporanea, riesco ad ottenere un pH ≤4,2. Nel caso delle ciliegie, il pH naturale è di circa 3,5.
Ciò significa che non dovrei teoricamente avere la necessità di correggere questo pH con acido citrico o succo di limone. L’aggiunta di quest’ultimo ingrediente si potrebbe giustificare nel caso in cui si dovesse aggiungere un gelificante, come la pectina, durante la produzione (anche per non prolungare eccessivamente la cottura per far evaporare l’acqua). Una soluzione alternativa consiste nell’aggiungere polpa di mela, naturalmente ricca di pectina, ma anche un valido aiuto per abbassare il pH. Vengono tralasciate tutte le altre norme di corretta prassi igienica (GHP) o di produzione (GMP) soltanto per mancanza di spazio, non per la loro minor importanza. In sintesi, una confettura/marmellata sicura non può basarsi esclusivamente sul palato (quanto è dolce e quanti zuccheri posso evitare di aggiungere), anche perché i microorganismi rispondono a tutt’altre regole per proliferare. Oltre al pH, si devono valutare le condizioni di cottura (tempi e T°) che devono garantire un grado adeguato di gelificazione (e dunque di aw) prima dell’invasettamento. Una semplice pastorizzazione dei vasetti pieni in forno potrebbe non essere sufficiente. In tali casi potrebbe essere necessario un ciclo di sterilizzazione da attuarsi però in autoclave.