“L’appetito vien mangiando
e non digiunando” (Totò)

Gli antipasti, si chiamavano semplicemente così (dal romano ante-paestum) quando erano golosi bocconcini, caldi o freddi, che anticipavano pranzi e cene. Poi sono arrivate altre culture a inquinare lingue di antica civiltà e dialetti diffusi e allora tutto è “happy hour”, liquido o solido, al banco o a tavola, stimolante appetizer, veloce finger food, fantasiosi cocktail, drink per la sete, o semplicemente cicchetti, nell’infinita proposta della vecchia cucina veneta. Una moda? Non direi, piuttosto la scontata evoluzione di una cucina, quella italiana in particolare, che ha costruito nei secoli incalcolabili occasioni per stare a tavola che è comunque l’atteso momento “dopo”, perché “prima” ci sono gli antipasti. Piccole golosità che se non altro hanno provocato nuove apprezzate professionalità (il barman), scese in campo direttamente dalla cucina con le loro provocazioni ai sapori, spesso vere invenzioni gastronomiche. Una breve corsa nella storia: dai soliti romani le crudités, le delicate salsine, la frutta caramellata, tanto per fare qualche esempio dai testi d’epoca, poi la penalizzante decadenza imperiale fino all’intero Medioevo quando risolvevano tutto la cacciagione (per i ricchi) e i prodotti della pastorizia o dell’agricoltura casalinga per gli altri. Poi le sorprese stando vicino al mare, della pesca minore, gamberetti, crostini di ogni tipo, sarde in saor mentre dappertutto erano gli affettati a trasformarsi in intramontabile antipasto all’italiana. Ma questi sono soltanto veloci appunti tanto per arrivare alla grande cucina degli chef per il mangiare della borghesia ricca o addirittura nobile che andava ben al di là dei popolari pane-salumi-formaggi, con il solito vino rosso. E questi grandi cuochi, quasi sempre eruditi, sono i protagonisti – autori di quella letteratura specialistica che ha accompagnato la diffusione anche popolare della grande cucina. Nell’esaltare il mangiare tradizionale nel nostro nordest ricordiamo il bretzel del Trentino- Alto Adige (treccia annodata di pane dolce o salato, tipico delle popolazioni germaniche ma dalle origini contestate), il canapè con speck e formaggi, i porcini, lo strudel. Oppure il Veneto con gli asparagi bianchi immancabilmente accompagnati alle uova sode, il baccalà, gli intramontabili moscardini e, in stagione, le vongole, le capesante e i canestrelli, il radicchio rosso di Treviso e dintorni. In Friuli il prosciutto crudo di San Daniele, i tortini, la salviade (frittelle di salvia), il frico (un tortino di patate e formaggio Montasio), i cjarsons (specie di agnolotti che si distinguono proprio per il contenuto, carni, marmellate, ricotta). Vanno bene dall’antipasto in poi. Certo ci sono state invasioni e guerre, epidemie e carestie ma in fondo in qualche modo si è sempre mangiato. È bastato accontentarsi.