Fintanto che il problema riguarda questi aspetti contrattuali dei quali l’impresa deve fare (più) attenta conoscenza. L’assicuratore correttamente ha rilevato sia una carenza dell’entità di copertura del clausolario C delle citate I.C.C. sia la collocazione del rischio (di danni alle merci) sul compratore quando l’acquisto è alle condizioni CIF (secondo gli Incoterms® della Camera di Commercio Internazionale). Cominciando dalla prima di queste due criticità di cui l’importatore ha fatto (amara) esperienza, va detto che le Institute Cargo Clauses inglesi, ossia i prodotti assicurativi più diffusi, autorevoli e rappresentativi a livello internazionale – e come tali riportati dalla stessa Camera di Commercio Internazionale quale prescrizione assicurativa nelle rese CIF e CIP degli Incoterms® 2010 – sono costituiti da tre diversi clausolari: A-B-C ognuno dei quali rappresentante una diversa magnitudine di copertura che va dalla massima (A = all risks) alla minima (C = without particular average). Quest’ultima, diametralmente opposta alla all risks, copre una serie molto ristretta di rischi e tali che difficilmente possono rientrare, senza le opportune integrazioni, nelle aspettative dell’assicurato medio. Qui, infatti, il danno materiale e diretto alle merci viene indennizzato solo a condizione che sia conseguenza di uno dei seguenti (tragici) eventi (in libera traduzione italiana dal testo originale inglese):

– Incendio o esplosione
– Azzeramento, capovolgimento o affondamento della nave
– Capovolgimento o deragliamento di un mezzo di trasporto di superficie
– Collisione o urto della nave con qualsiasi oggetto esterno diverso dall’acqua
– Scaricazione della merce in un porto di rifugi

Eventi, questi, che oltre a essere drammatici, sono (per fortuna) rari e quindi tali da liberare l’assicuratore dal risarcire i danni più frequenti e più banali che sono poi tutti quelli di cui un assicurato normale cerca ristoro. Il motivo che sostiene gli Incoterms® nella scelta per le rese CIF e CIP di un’assicurazione così esigua (obiettivamente a tutto svantaggio del compratore) sta unicamente nel fatto che il venditore, con questi contratti, trasferisce il rischio di danni alle merci vendute al momento in cui le stesse vengono affidate al vettore (CIP) o sono caricate a bordo della nave (CIF). Da là in avanti, non essendo più il venditore il soggetto contrattuale a rischio, la sua obbligazione assicurativa non potrà che risultare minima dato che la tutela del bene in viaggio è esclusivo interesse del compratore che è anche la controparte, nel contratto di compravendita, che ha l’interesse assicurabile. Il venditore, infatti, è qui privo di rischio da trasporto e quindi non può assicurare sé stesso, ma deve stipulare l’assicurazione (di cui è mero contraente) in favore del compratore. Quanto sopra, per spiegare la risposta dell’assicuratore in relazione all’assenza di copertura del rischio da mancato freddo; evento, questo, che come si è visto, non rientra nella (limitatissima) elencazione dei rischi coperti. Quale considerazione di natura commerciale, va detto che, comunque, l’esportatore israeliano – sicuramente esperto di queste procedure – avrebbe dovuto mettere il suo cliente sull’avviso dell’inadeguatezza della polizza ICC/’C’ a coprire il danno da mancato freddo. Per il futuro, è necessario che il lettore, come altri importatori di prodotti freschi viaggianti a temperatura controllata, richiedano una specifica copertura quale la Institute Frozen Food Clauses / “A” in cui il danno alle merci deperibili per mancato freddo sia espressamente conseguente a guasti all’impianto refrigerante.

Maurizio Favaro