La parte edule del carciofo (Cynara cardunculus L., ssp. scolymus; famiglia Asteraceae) è rappresentata principalmente dai fiori o, per meglio dire, dalla base delle infiorescenze immature, dette calatidi, e dalla parte superiore carnosa delle brattee che li ricoprono. I getti che si sviluppano dalle gemme ascellari ramificano il fusto principale e terminano sempre con un grosso capolino (chiamato “mamma”); dai getti laterali si formano capolini, detti “di corona” (più piccoli e più tardivi); dalla base del fusto originano getti chiamati polloni o carducci, anch’essi commestibili. La maggior parte della produzione italiana, che detiene peraltro il primato mondiale, è destinata al consumo diretto, ma si producono anche carciofi sott’olio, salse e sughi a base di carciofi, ecc. La classificazione botanica viene effettuata sulla scorta del colore delle brattee (verde o violetto), delle caratteristiche del calice (spinoso o non spinoso) e della rifiorescenza (si distinguono prodotti precoci e tardivi). L’Italia annovera numerose varietà (spinoso di Liguria, spinoso di Palermo, violetto di Venezia, violetto di Toscana, spinoso sardo, bianco tarantino, ecc.); hanno ricevuto il riconoscimento comunitario di Indicazione Geografica Protetta il carciofo di Paestum (Piana del Selene – Prov. Salerno) ed il carciofo romanesco del Lazio. Il carciofo presenta un modesto valore calorico (poco più di 20 kcal per 100 g di porzione edibile) e si caratterizza per il buon contenuto in fibra alimentare (5.5 g/100 g), di cui fanno parte sia componenti non solubili (cellulosa, emicellulose, ecc.) che solubili (principalmente inulina, ma anche mucillagini e pectine). Le frazioni insolubili sono utili per aumentare la massa fecale ed accelerare il transito intestinale, consentendo la regolazione dell’alvo e la riduzione dell’assorbimento di vari nutrienti, tra cui glucosio e colesterolo. L’inulina è un polisaccaride ascrivibile ai cosiddetti prebiotici, ovvero ingredienti non digeribili che agiscono come fattori di crescita di specifici microrganismi chiamati probiotici. I prebiotici sono rappresentati da un’ampia gamma di composti, quali xilitolo, sorbitolo, lattitolo, lattulosio, frutto-oligo-saccaridi e, appunto, inulina (contenuta anche in aglio, cipolla, cicoria, radicchio, asparago, ecc.). I probiotici sono supplementi alimentari costituiti da microrganismi vivi che agiscono favorevolmente sull’uomo, migliorando il suo equilibrio microbico intestinale. Una colonizzazione enterica di tali microrganismi (appartenenti per lo più ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium) è in grado di svolgere numerosi effetti benefici, tra cui la riduzione dei livelli ematici di colesterolo ed il rafforzamento delle difese immunitarie. L’inulina del carciofo può quindi favorire la proliferazione intestinale dei probiotici e giocare un importante ruolo salutistico. Mentre il contenuto vitaminico è sostanzialmente trascurabile, tra i minerali vi è una discreta presenza di ferro e potassio. Compaiono anche discrete quantità di acidi organici (glicolico, glicerico, malico, succinico, ecc.) destinati alla nostra riserva ematica di bicarbonati alcalini, necessari per contrastare l’acidificazione del sangue. Nel carciofo sono poi presenti diverse molecole antiossidanti, che espletano la loro funzione soprattutto a livello epatico. Alcune appartengono al gruppo degli ACIDI FENOLICI (acido clorogenico, acido criptoclorogenico, acidi iso-clorogenici, acido caffeico, acido 1,5-dicaffeilchinico, più noto come cinarina); l’acido clorogenico, quantitativamente predominante, può inibire l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità, esercitando un’azione di prevenzione nei confronti delle malattie cardiovascolari; ha effetti inibitori su alcuni enzimi che agiscono nella via metabolica della neoglucogenesi, riducendo la formazione di glucosio endogeno; per le sue proprietà antiossidanti viene inoltre ritenuto in grado di ridurre e/o prevenire la cancerogenesi. Alla cinarina si ascrivono le funzioni coleretiche e colagoghe del carciofo, ovvero la stimolazione della secrezione epatica dei sali biliari, l’aumentata escrezione di colesterolo nella bile, l’inibizione della sua sintesi endogena ed il trasporto della bile nel coledoco. I carciofi possono quindi favorire la digestione dei grassi e la riduzione dei livelli ematici di colesterolo; ma dovrebbero essere consumati con molta cautela in presenza di calcolosi biliare. Altri antiossidanti afferiscono al gruppo dei Flavonoidi (cinaroside, rutina, scolimoside e luteolina). La rutina (o rutoside), frutto dell’unione della quercetina al disaccaride rutinosio, svolge attività antiossidante in quanto, sottraendo ferro ionico, ostacola la reattività dei radicali liberi dell’ossigeno; viene inoltre ritenuta in grado di regolare la permeabilità dei capillari sanguigni. Anche la luteolina ha mostrato proprietà chelanti di ioni metallici e capacità di ossidare la frazione LDL; già da tempo è stata osservata la sua efficace inibizione sulla sintesi epatica di colesterolo, mentre recenti studi depongono per un’attività di riduzione a carico di alcuni mediatori infiammatori (citochine) responsabili di precoce invecchiamento cerebrale. Tra le molecole antiossidanti vi sono anche Lattoni Sesquiterpenici (come cinaropicrina, grosseimina e cinaratriolo), cui si deve il caratteristico gusto amaro. La quantità di antiossidanti varia ampiamente a seconda della varietà di carciofo; è maggiore nelle brattee interne; tende a diminuire con il tempo. Quanto agli effetti esercitati dalle tecniche culinarie, i dati a disposizione sono per ora assai divergenti: vi è chi descrive cali importanti con cotture a vapore, bolliture e fritture; e chi ha invece osservato, dopo cottura, una maggiore attività antiossidante. Come altre Asteracee, i fiori maturi del carciofo contengono proteine enzimatiche (“proteasi ad acido aspartico”) in grado di coagulare le caseine del latte ed ottenere un formaggio con gusto e consistenza caratteristici. Ricordiamo infine che il taglio delle brattee danneggia le pareti vegetali e favorisce reazioni catalizzate da varie fenolasi che, in presenza di ossigeno, generano chinoni scuri; tale imbrunimento enzimatico può essere ostacolato con aggiunta di succo di limone od aceto. Meglio in seguito effettuare la cottura a pentola aperta per evitare che le clorofille verdi si trasformino (in ambiente acido) in feofitine brune.

Mirella Giuberti