Negli ultimi anni, il mondo della cucina ha vissuto una vera e propria rivoluzione culturale, alimentata da un numero crescente di programmi televisivi che esaltano la figura dello chef.
Giovani ambiziosi, ispirati dai riflettori e dall’apparente moda del settore, dichiarano sempre più spesso di voler diventare “chef”.
Tuttavia, questa aspirazione sembra aver oscurato un mestiere fondamentale, radicato nella tradizione e nella fatica quotidiana: quello del “cuoco”.
Lo chef viene dipinto come un artista e una celebrità.
Le immagini di piatti perfettamente impiattati, le interviste su riviste di settore e i profili social da milioni di follower contribuiscono a creare un’aura di fascino e successo intorno a questa figura.
La televisione spesso si concentra sugli aspetti più spettacolari e creativi del lavoro dello chef, mettendo in secondo piano le sfide quotidiane, le lunghe ore di lavoro e le difficoltà che caratterizzano questa professione.
Il risultato è che molti giovani iniziano a sognare di entrare in cucina con l’aspirazione di essere dei “creatori di piatti gourmet”, senza comprendere appieno cosa significhi realmente lavorare in questo settore.
In contrapposizione all’immagine patinata dello chef di alta ristorazione, c’è quella del semplice cuoco.
Questa figura, spesso relegata nell’ombra, rappresenta la spina dorsale di qualsiasi cucina professionale.
Il cuoco è colui che prepara i pasti con dedizione e metodo, giorno dopo giorno, spesso senza il riconoscimento pubblico che spetta ai grandi chef stellati.
Il cuoco è un lavoratore instancabile, che padroneggia tecniche e procedure, garantendo la qualità e la coerenza dei piatti serviti.
Non sempre ha il tempo o la possibilità di esprimere una creatività fuori dagli schemi, ma è essenziale per il funzionamento di qualsiasi ristorante, trattoria, catering o mensa.
L’ascesa della “chef-mania” ha portato molti giovani a sottovalutare il lavoro del cuoco, percependolo come meno ambizioso o prestigioso.
Nei corsi di formazione culinaria, si registra un aumento di iscritti che dichiarano di voler diventare chef, mentre sempre meno aspiranti si identificano con la figura del cuoco tradizionale.
Questa tendenza ha diverse conseguenze:
Idealizzazione del mestiere: Molti giovani entrano nel settore con aspettative irrealistiche, immaginando un percorso lineare verso il successo e la fama.
Carenza di figure operative: L’attenzione mediatica verso gli chef ha contribuito a una crisi di vocazioni per i ruoli meno visibili ma essenziali, come i cuochi, i commis e gli aiuto-cuochi.
Questo squilibrio rischia di compromettere la sostenibilità dell’intero settore.
Sofferenza dei piccoli ristoranti: i giovani sognano di lavorare in ristoranti stellati o di aprire il proprio locale di lusso, invece, molte trattorie e ristoranti tradizionali faticano a trovare personale qualificato, che sia disposto a lavorare con impegno.
Ciò che spesso sfugge ai giovani attratti dal mondo della cucina è la durezza del lavoro quotidiano e il successo non è garantito nemmeno per i migliori.
Molti chef stellati raccontano di anni di sacrifici, insuccessi e dubbi prima di raggiungere il riconoscimento pubblico.
Per ogni chef che conquista una stella Michelin, ce ne sono centinaia che lavorano nell’anonimato, affrontando le stesse difficoltà senza le stesse ricompense.
Questo cambiamento, se da un lato risponde alle richieste del mercato, dall’altro rischia di distogliere l’attenzione dagli aspetti fondamentali della professione, come la padronanza delle tecniche culinarie e la capacità di lavorare in squadra.
Per riequilibrare questa tendenza, è necessario riscoprire il valore del cuoco e delle competenze pratiche che questa figura incarna.
Ciò significa educare i giovani a comprendere che la cucina non è solo arte, ma anche mestiere; non solo creatività, ma anche disciplina, che il cuoco di una trattoria, di un ristorante elegante o di una mensa scolastica hanno pari dignità e rispetto.
Buon lavoro a tutti i cuochi del Mondo!

Nereo Marzaro