A sorpresa, in un momento in cui ci stiamo tristemente abituando al sovrannumero di brutte notizie rispetto a quelle buone, Fondazione Edison ci fa una lettura dei dati sulle esportazioni italiane che addirittura ci collocherebbe al quarto posto mondiale dopo Cina, Usa e Germania. Per metterci ai piedi del podio abbiamo dovuto (giustamente) escludere l’Olanda, per evitare che le merci in transito per il porto di Rotterdam distorcessero ogni considerazione circa l’effettiva capacità delle aziende olandesi di esportare nel mondo. In modo arbitrario ma interessante, Fondazione Edison ha escluso anche il settore delle auto sotto i 3.000 cc. di cilindrata, tesi particolarmente interessante per l’Italia e, quantomeno bizzarra per non dire addirittura kafkiano, per tutti quegli italiani, come me, che male hanno digerito le stramberie di Fiat nell’ultimo decennio. Comunque sia, che la sede di una delle nostre maggiori aziende esportatrici del passato sia stata spostata in Olanda e Inghilterra (questo non incide sulla statistica delle esportazioni) e che poi sia stata “annessa” (non riesco a coniare un termine diverso perché, se fosse stata acquisita almeno delle belle plusvalenze ne avrebbero goduto tutti gli onesti contribuenti italiani), questo poco importa: adesso anche a me viene da dire “forza ragazzi” che abbiamo il vento in poppa. Un secondo aspetto, non meno importante, è quello che, a farci raggiungere delle buone performance economiche, hanno contribuito in buona misura anche le aziende del Sud Italia. Ciò risuona poco nelle stanze di regìa dei nostri competitors internazionali e nelle relazioni finanziarie dei grandi sottoscrittori internazionali dei debiti sovrani, ma per noi italiani è più importante che non aver raggiunto e superato i 600 miliardi di dollari di esportazioni. “Le magnifiche sette”, le classi merceologiche che ci hanno permesso di ottenere questo ottimo risultato (come riportato da “II Foglio” on line su ben 201 prodotti noi risultiamo essere i primi esportatori al mondo) riguarda i prodotti del food and beverage. Mi viene simpaticamente da pensare che le nostre esportazioni siano state, sì gratificanti per noi, ma anche per i palati dei nostri estimatori stranieri, con incremento del già eccellente apprezzamento del nostro Made in Italy. Ci sono, infine, due altre considerazioni da fare: 1) il disavanzo attivo è ai massimi storici (e le statistiche sulla bilancia dei pagamenti ci hanno confortato prima ancora di quelle relative alle esportazioni), perché oltre al propulsore delle esportazioni si deve aggiungere la congiuntura dei record di fatturato del turismo straniero in Italia; 2) il saldo delle entrate fiscali è al massimo storico. Sarebbe bello sapere, da una prossima statistica, quanto il nostro meridione abbia incrementato anche in questo senso, visti i buoni risultati ottenuti. Aspettiamo! Tutto questo avvalora il fatto che ci troviamo in un circoscritto periodo di modeste, ma comunque confortevoli, vacche grasse e questo ha permesso al nostro Presidente Mattarella di poter affermare a Cernobbio qualche settimana fa che l’Italia è un affidabile pagatore del proprio debito pubblico. Grazie Presidente! Finalmente per la prima volta alziamo la testa e lo gridiamo al mondo. Speriamo così di pagare meno interessi passivi. E per il futuro? Siccome noi imprenditori, anche quando abbiamo fortuna, non ci adagiamo sugli allori, per il futuro spero di vedere ancora l’Italia positivamente fra i pensieri di chi deve assegnarci i ratings. Grandi cose ci aspettiamo dal nuovo “Piano Mattei”, ma queste sono questioni più grandi di me. Mi limito a scrivere i miei pensieri a riguardo, sperando di poter rappresentare quelli dei medi imprenditori italiani. Quel che mi sento di dire, invece, da buon Veneto, è che i treni non passano all’infinito: se il vento è buono e le vacche sembrano un po’ meno magre, è bene veramente che questo debito cominciamo ad abbatterlo!
Quarto posto medaglia di cartone?
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