er il servizio pranzi, soprattutto in un locale che non serve esclusivamente pasti, la proposta di piatti freddi può risultare una soluzione vincente: supera la necessità di un servizio veloce, magari per un numero anche elevato di avventori, risolvendo la presenza di una linea cucina attiva. E ciò vale soprattutto in un contesto metropolitano, dove l’offerta di pasti a poco prezzo non è esclusivo di bar e tavole calde/fredde, dando spazio a fianco della ristorazione tradizionale ad una realtà rappresentata variamente, come le poke station, i kebab, e tutta l’offerta degli street food etnici. È necessario però che questa carta che il gestore intende giocare, non sia compromessa in termini qualitativi, sommando alla velocità di servizio e alla comodità logistica, un eccessivo risparmio economico che automaticamente incide sulla qualità del prodotto finale. In termini pratici: una insalata di pasta fredda può risultare poco appetibile se non la si propone in maniera accattivante. Ma la rosa di piatti freddi proponibili è veramente ampia e, senza arrivare alle ciotole di insalatone di riso/pasta e cereali, si possono proporre piatti sicuramente di maggiore valore gastronomico. Se intendiamo lavorare con le carni, oggi il servizio a crudo è oramai sdoganato, partendo dalle classiche tartare di manzo, vendute preconfezionate nei supermercati, fino ad arrivare ai carpacci di vitello. La possibilità di gestione dei prodotti varia per ogni singolo locale: chi opta per un conservato con nitriti (che mantengono il colore e la conservabilità della carne), chi, con un onere gestionale maggiore, opta per un prodotto fresco da lavorare, da sottoporre ad abbattitura, in vista della mise en place.
Per gli amanti della carne un’interessante proposta potrebbe essere un tris di carni piemontesi così allestito:
• Carne all’albese: un sottilissimo carpaccio di manzo, passato al batticarne, conservato in freddo che, per una decina di minuti prima del servizio, viene marinato in una emulsione di olio, sale e pepe bianco (per non incidere troppo sul gusto della carne). Il limone è facoltativo, e sicuramente da aggiungere dopo, per non cuocere la carne;
• Insalata di carne cruda alla piemontese: una polpa di vitello preferibilmente battuta al coltello o passata al tritacarne (da evitare il frullatore, che altrimenti cuoce la carne) amalgamata con sale, pepe e abbondante olio di oliva. Una macinatura effettuata in anticipo va passata in abbattitore, ma in ogni modo sarà necessario condire tutto all’ultimo minuto per permettere di ottenere un prodotto più morbido;
• Salsiccia di Bra: una salsiccia di tradizione ebraica di 2 cm di diametro, composta di carne magra di bovino, consumabile sia cruda che cotta. Attualmente vengono proposte anche salsicce nel cui impasto viene aggiunta la pancetta di maiale. Unica problematica, la reperibilità che sarà possibile solo all’interno dell’omonimo comune.
Non serve sottolineare come, su un piatto come questo, dove la preparazione non comporta tempi eccessivi, la qualità della materia prima sia fondamentale per una proposta gradita al cliente.
In abbinamento, su un pranzo di lavoro possiamo proporre o un bianco fermo, strutturato, che bene si abbina alle carni crude, valorizzandone le peculiarità come un Greco di Tufo, profumato e sapido, o un Pinot Grigio dell’Alto Adige, dal gusto più secco. Per chi non rinuncia alle bollicine si consiglia un extra dry, con una componente zuccherina equilibrata alla componente acida. In orario serale, invece, per chi gradisce qualcosa di più forte, si può optare per un drink i cui caratteri siano non troppo secco, con una lieve punta di acidità, e in cui non compaiano ingredienti dolci quali succhi di frutta o liquori. Un esempio?

Il Vesper Martini

Classico ed elegante, trasparente e freddissimo, asciutto con una punta di agrumato:
2 oz di gin e 1 oz di vodka, e ½ oz di vermouth dry, il tutto shakerato, versato in coppa e decorato con la scorza di limone.
Per una alternativa più profumata, senza tuttavia risultare stucchevole si può optare per un mock-up di un calssico Gin tonic, caratterizzandolo con una livrea floreale di violetta e lavanda. Riducendo la dose canonica del gin (e di conseguenza la persistenza del gusto di ginepro) si compone in un Boston colmo di ghiaccio 1,5 oz di gin, meglio se con retrogusto agrumato, ½ oz di liquore alla violetta, ½ oz di sciroppo di lavanda. Si shakera il tutto e si serve colmando con acqua tonica e guarnendo con zest di lime.