Per un marchigiano “oliva” è sinonimo di “Oliva Tenera Ascolana”. Ormai quest’ultima è diventata la punta di diamante fra i prodotti che identificano la qualità della gastronomia marchigiana nel mondo. L’oliva verde, una volta raccolta e lavata, viene conservata in salamoia con dei rametti dell’immancabile finocchietto selvatico. Poi, viene denocciolata e farcita con un impasto di carni miste cotte e sfumate con del vino, unita a rossi d’uovo e Parmigiano grattugiato, viene passata nella farina e nell’uovo battuto e, infine, nel pane grattugiato. A questo punto vengono fritte e servite da sole come antipasto o aperitivo, oppure insieme ad altri carni e verdure nel classico “fritto all’ascolana”. Tale specialità trova nell’abbinamento con il Verdicchio Classico dei Castelli di Jesi o con il Pecorino dei Colli Ascolani, il suo compagno ideale per l’esaltazione delle papille gustative. L’idea di questo prodotto pare sia venuto a dei cuochi che prestavano servizio nei primi anni del 1800 nelle case di facoltose famiglie di proprietari terrieri. Trovandosi ad avere a disposizione una gran quantità di carne di animali di bassa corte donata dai coloni nel periodo delle festività, si ingegnarono per poterla utilizzare nel modo migliore evitando al contempo lo spreco. Le olive possono essere degustate anche al bar come aperitivo, normalmente sono quelle messe sotto sale con bucce di arancio e il solito finocchio che viene aggiunto quando l’oliva in barattolo è già salata. In questo caso il Prosecco di Valdobbiadene risulta il vino più appropriato per l’abbinamento Oggi, anche i piatti più controversi e tecnicamente di non semplice abbinamento trovano il giusto compagno che riesce a soddisfare e gratificare i palati più esigenti. Come un pre-gustativo non scontato che in stagione è formato da un’insalata di finocchi con spicchi di arancio e olive taggiasche, un filo di olio d’oliva, un pizzico di sale e una sfumata di pepi aromatici ben abbinabile con un fresco-sapido Chardonnay dal gusto di frutta esotica, prodotto in clima abbastanza caldo. Un primo estremamente semplice, napoletano verace, sono gli “spaghetti alla puttanesca” (il cui nome sembra derivare dall’usanza di offrire in una casa di tolleranza gli spaghetti ai propri clienti) che vengono conditi con una salsa di pomodoro San Marzano e olive di Gaeta. I vini migliori per accompagnarlo sono rossi campani, tra i quali il più gettonato Piedirosso, anche se può andare bene pure un vino fresco e semplice come l’Ormeasco di Pornassio, ligure di ponente. In Sicilia mi è capitato di mangiare uno spezzatino di pesce spada con cipolla stufata e oliva Nocellara del Belice al naturale dell’azienda “Contadino di Galluzzo”. Abbinamento d’obbligo, in questo caso, con un Etna bianco da uve Catarratto, Carricante comune e Carricante lucido: delicato, secco, di buona freschezza e piacevolmente armonico. Il coniglio alla cacciatora con olive nere e un po’ di pomodoro necessita di un rosso delicato, di struttura e fresco. Il Valpolicella di Allegrini è quello che amo di più per la sua sobria eleganza. Fatto con uve Corvina, Rondinella, Molinara, è un vino con un giusto tenore zuccherino. La sua acidità gli permette di esaltare i profumi e preservare la sua armonia nel tempo. L’oliva oggi viene candita e utilizzata anche nei dessert, come nel caso della variante al classico panettone, dove il burro viene sostituito dall’olio e l’oliva candita prende il posto dell’arancio e di altra frutta. L’abbinamento classico è, in questo caso, l’Asti Spumante, dolce, aromatico e con anidride carbonica che deterge la bocca. Ma perché non azzardare anche un Greco di Bianco passito della zona di Bianco? È solo lì che si produce. Le donne del luogo raccolgono l’uva selezionando i chicchi più sani e belli. Morbido, caldo, aromatico, dai sentori di frutta secca, fichi d’India, si può degustare da solo come vino da meditazione ma può benissimo accompagnare dolci realizzati con pasta di mandorla o con il cioccolato.