Unico comune denominatore: da consumarsi freddo. Mentre per i prodotti deperibili cotti da consumarsi freddi, esistono fin dal 1980 dei riferimenti normativi con l’indicazione di temperature da rispettare (art. 31 del D.P.R. 327/80). La temperatura indicata per la conservazione di “alimenti deperibili cotti da consumarsi freddi quali: arrosti, roast-beef, ecc.”, l’obbligo è di garantire una temperatura non superiore a +10°C. Valore che scende poi a +4°C per “alimenti deperibili con copertura, o farciti con panna e crema a base di uova e latte (crema pasticcera), yogurt nei vari tipi, bibite a base di latte non sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina alimentare”. In questo D.P.R., che ha costituito per decenni un pilastro della normativa igienico alimentare, tuttavia non vengono espressamente indicati i prodotti trasformati non cotti come ad esempio i salumi oppure i formaggi, né gli alimenti crudi come, ad esempio, gli ortaggi dell’insalata o la frutta preparata. Bisogna aspettare la validazione dei primi manuali di corretta prassi igienica previsti da D.Lgs. 155/1997, successivamente confermati dal Reg CE 852/2004, per vedere in qualche modo codificati questi valori di temperatura. Ecco, dunque, che viene codificata la temperatura massima di +4°C del nostro frigorifero per la sosta del prodotto. Se è prevista una fase di trasporto (es. ristorazione collettiva con pasti veicolati), l’asticella si alza fino a +10°C. Dunque, nulla di rivoluzionario. Se vogliamo essere pignoli, ci poniamo il problema di sapere quale sia la temperatura di servizio ideale. Dobbiamo coniugare la scienza, le normative vigenti ed il buon senso.

La scienza insegna che più la temperatura rimane sotto la soglia dei +10°C, meglio ancora sotto i +4°C, più rallenta la crescita della flora microbica eventualmente presente, ma anche l’attività enzimatica nell’alimento. Il D.P.R. 327/1980 s’ispirava a questi principi. Per quanto tempo? Dipende sempre dal prodotto considerato. Qui facciamo appello al buon senso: importante è prima di tutto l’osservazione dell’aspetto del prodotto: secco, smorto, ossidato, umido, sciupato, raggrinzito, ecc., alterazioni che incidono anche sul gusto. Non si deve – ovviamente – arrivare a tanto. Pertanto, è fondamentale conoscere bene le caratteristiche organolettiche del prodotto. Questo dipende dalla professionalità dell’operatore. Riassumendo, dobbiamo gestire correttamente la fase di conservazione, poi l’eventuale fase di esposizione – soprattutto nelle giornate calde – (limitando allo stretto necessario il tempo di sosta a temperatura ambiente, avendo cura di utilizzare basi refrigerate o fredde, adeguate protezioni, ecc.). Ricordiamoci infine che per taluni prodotti il nostro palato non gradirebbe il “tiepido” come sensazione!