Sarà perché vivo sul lago dove l’estate significa turisti, spiagge, pranzi all’aperto, ma la maggior parte dei miei concittadini preferisce il caldo e soffre il freddo. Con l’età provo anch’io fastidio dal clima invernale. Tuttavia, ciò che più mi indispone è l’algido distacco del maître sussiegoso, del cameriere scocciato con la faccia che sembra colpita da un grave lutto, del sommelier che mentre consulti la carta dei vini ti guarda con l’irritazione di “chi sa”; per non dire della temperatura dei piatti lasciati raffreddare in cucina da camerieri disattenti e cuochi distratti, del gelo psicologico di certi buffet nèo-càfon, della freddezza di chi tratta il cibo alla stregua di un orpello necessario alla sopravvivenza. Senza dilungarmi sul freddo ostile vorrei fare alcune considerazioni su quello benefico del frigorifero, elettrodomestico senza il quale vivremmo sicuramente peggio, un pezzo fondamentale della casa che racconta molto di noi, della nostra opinione su cibo e la tavola, ma anche della nostra attenzione alla salute e all’ambiente. Molti anni fa mi divertivo a raccontare su un settimanale il contenuto dei freezer (alcuni grandi come cabine telefoniche) di attori, giornalisti, conduttori televisivi e personaggi pubblici. Concordavo un’intervista a casa loro per parlare di gusti e preferenze alimentari e, senza preavviso, mi facevo aprire il frigorifero che il fotografo immortalava così com’era. Ho visto cose che voi umani…: latte andato a male, formaggi muffi, uova e yogurt scaduti, brandelli di lasagne fossili, frutta marcita, bibite aperte, colliri e supposte. Per non dire dello sportello dei surgelati, quasi sempre una grotta di ghiaccio da cui scavando emergevano masse rigide e indistinte di carne, crostacei, verdure cotte e frullati dimenticati da mesi se non anni. La temperatura del frigo domestico, generalmente tra i 2° e i 7°C, non rende certo “immortali” provviste e pietanze ma aiuta a allungarne il periodo di commestibilità, poiché microorganismi e batteri patogeni a quelle temperature diventano meno vitali, si riproducono più lentamente ma non si distruggono. Insomma, il frigo non migliora la qualità dei cibi ma aiuta a mantenerli commestibili (un po’) più a lungo. Soprattutto d’estate il frigorifero diventa fondamentale, non solo per conservare vivande e rinfrescare bevande ma anche perché aiuta ad abbassare la calura dando libero sfogo al piacere di mangiare freddo e alla comodità di non accendere i fornelli: insalatone, carpacci e tartare di carne, crudi di mare (abbattuti!), panzanelle, prosciutto e melone, involtini di bresaola e ricotta, gazpacho messi in tavola dopo almeno una mezzora di sosta in frigorifero per adeguarsi alla stagione. Ancora più utile si dimostra il freezer per un pranzo o una cena con piatti o ingredienti cotti in precedenza e serviti freddi. È il caso di grandi classici estivi come la caesar-salad di pollo, il vitello tonnato, il roast-beef, il polpettone, il cous-cous e la pasta fredda, le insalate di riso e di farro, le lasagne e la Parmigiana. Una regola da osservare è quella di far raffreddare velocemente l’elemento appena cotto perché le temperature comprese tra i +60° e i +4°C (la cosiddetta “danger zone”) sono quelle in cui i batteri patogeni diventano estremamente vitali. C’è chi mette nel frigo, o addirittura nel congelatore di casa. il polpettone appena cotto, dimenticando che così provocherà un brusco rialzo termico che metterà a repentaglio l’intero contenuto dell’elettrodomestico. Sbaglia anche chi pensa di lasciar raffreddare il pollo o il polpettone a temperatura ambiente prima di metterlo in frigo. Proprio per scongiurare la proliferazione dei batteri che si annidano in cucina, la ristorazione usa gli abbattitori di temperatura che, grazie a un sistema di ventole, sottraggono calore con grande rapidità. Il metodo casalingo migliore per scansare il rischio è quello di trasferire il cibo appena tolto dal fuoco in un contenitore più piccolo (meglio di alluminio che disperde prima il calore) e mettere il tutto a bagnomaria in una ciotola di acqua e ghiaccio; solo a raffreddamento avvenuto il nostro roast-beef o l’insalata di riso posso trovare posto in frigorifero, possibilmente dentro un contenitore con coperchio o avvolti in foglio di alluminio o pellicola. Insomma, quanto minore è il tempo di permanenza del cibo tra i +60 e i +4 gradi di temperatura, tanto maggiore sarà la sua salubrità e integrità. Ed è evidente che, per lo stesso motivo, il vitello tonnato e il gazpacho dovranno uscire dal frigo solo al momento del servizio. In un certo senso mangiare “freddo” richiede più scienza medica rispetto al mangiare pietanze calde già rese salubri dalla cottura. In attesa di inventare il frigorifero, la conservazione dei cibi a bassa temperatura ha impegnato gli uomini per secoli. Dalle “neviere” mesopotamiche scavate nella montagna, alle “gelariae” romane e medievali, fino alle ghiacciaie ottocentesche foderate in piombo, i cibi si mantenevano freddi grazie a neve o ghiaccio portati dall’esterno. Solo nel 1850 fu brevettato il primo impianto artificiale di raffreddamento domestico e non da un cuoco o da un ingegnere ma da un medico, un certo John Gorrie che in una Florida torrida e paludosa mise a punto una macchina per abbassare la temperatura delle case in cui vivevano i suoi pazienti affetti da febbre gialla e malaria. Da lì al nostro frigorifero ultramoderno – combinato, defrost, side-by-side, wi-fi e dotato di intelligenza artificiale – si sono fatti passi da gigante. Un cammino lungo e irto di ostacoli, grazie al quale possiamo oggi goderci in tutta tranquillità una parmigiana di melanzane e un couscous ben freddi in una sera d’estate, meglio se in terrazza e con gli amici.